Tutto chiede salvezza

È la settimana dei mondiali del ’94, cinque uomini la passano nel reparto di psichiatria a seguito di un trattamento sanitario obbligatorio, meglio conosciuto come TSO. Daniele, appena ventenne, è la voce narrante, che racconta l’emarginazione, la paura, il dolore, ma anche la tenerezza, il conforto e la saggezza di uomini che implorano solo salvezza.

Ho paura, vorrei vicino a me la mia famiglia, la mia casa, la mia stanza. So perché mi trovo qui, so quello che è successo. La vergogna, i sensi di colpa, il ricordo di ieri sera mi travolge, vorrebbe tramutarsi in pianto. Ma non ce la faccio. […]

Mi piacerebbe dire a mia madre ciò che mi serve veramente, sempre la stessa cosa, da quando ho urlato il primo vagito al mondo. Quello che voglio per tanto tempo non è stato semplice da dire, tentavo di spiegarlo con concetti complicati, ho trascorso questi primi vent’anni di vita a studiare le parole migliori per descriverlo. E di parole ne ho usate tante, troppe, poi ho capito che dovevo procedere in senso contrario, così, di giorno in giorno, ho iniziato a sfilarne una, la meno necessaria, superflua. Un poco alla volta ho accorciato, potato, sino ad arrivare a una parola sola. Una parola per dire quello che voglio veramente, questa cosa che mi porto dalla nascita, prima della nascita, che mi segue come un’ombra, stesa sempre al mio fianco. Salvezza. Questa parola non la dico a nessuno oltre me. Ma la parola eccola, e con lei il suo significato più grande della morte.
Salvezza. Per me. Per mia madre all’altro capo del telefono. Per tutti i figli e tutte le madri. E i padri. E tutti i fratelli di tutti i tempi passati e futuri. La mia malattia si chiama salvezza, ma come? A chi dirlo? […]

“Che cura può esiste per come è fatta la vita, voglio di’, è tutto senza senso, e se ti metti a parla’ di senso ti guardano male, ma è sbagliato cerca’ un significato? Perché devo avere bisogno di un significato? Sennò come spieghi tutto, come spieghi la morte? Come se fa ad affrontare la morte di chi ami? Se è tutto senza senso non lo accetto, allora vojo mori’.” […]

“Lei prima ha detto che il mio problema potrebbe essere semplicemente chimico, magari fosse così, se fosse solo una questione di chimica basterebbe aggiungere, o diminuire, io sarei il ragazzo più felice del mondo, ma per ora tutto quello che ho provato non ha cambiato niente.” […]

“Lo stregone è arrivato» mi fa Mario, guardando in direzione della porta. La sua definizione mi fa sorridere.
«Perché stregone?»
«Perché dalla punta dei piedi sino al collo la scienza qualcosa ha capito, ma di qui sopra» e si indica la testa, «ancora niente, stiamo ancora al tempo della stregoneria, sono mutati i riti, le formule magiche, le erbe sono diventate pasticche, ma la verità è che la medicina brancola nel buio, magari domani si svegliano e ci dicono che la malattia che ci avevano affibbiato non è così certa, che il meccanismo d’azione di questa o quella cosa non è come avevano sempre pensato.” […]

“Questi sono posti che non vanno tanto a braccetto con la ragione, ma il rispetto verso gli altri è il primo comandamento, tanto ci pensiamo noi a farci del male.” […]

“Qui dentro la condanna non è il TSO, magari fosse quello, la vera pena affibbiata dal destino sta nella reiterazione del vissuto, come le repliche di uno spettacolo, un’eterna prima teatrale.” […]

“A te dico più o meno la stessa cosa: fidati pure dei farmaci, dei medici, ma non smettere di lavorare su te stesso, di fare di tutto per conoscerti meglio.” […]

“Per esempio ho capito che l’intelligenza è sopravvalutata, come la stupidità sottovalutata, che bene e male esistono veramente, che l’uomo può perdere tempo prezioso in mille modi stupidi, il più stupido di tutti è giudicare gli altri, perché è troppo facile, perché non serve né a noi né agli altri” […]

“Un uomo che contempla i limiti della propria esistenza non è malato, è semplicemente vivo. Semmai è da pazzi pensare che un uomo non debba mai andare in crisi.” […]

Forse, questi uomini con cui sto condividendo la stanza e una settimana della mia vita, nella loro apparenza dimessa, le povere cose di cui dispongono, forse loro, malgrado tutte le differenze visibili e invisibili, sono la cosa più somigliante alla mia vera natura che mi sia mai capitato d’incontrare. […]

La vera pazzia è non cedere mai. Non inginocchiarsi mai.

Daniele Mencarelli

Daniele Mencarelli, “Tutto chiede salvezza”, Mondadori, Milano, 2020

Alessia Bulla

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