Pazzi

Achille Campanile ragiona su chi sia davvero il pazzo, sul significato di pazzia e di saviezza. Finché simulavo la saggezza, mi sentivo pazzo. Abbandonandomi alla follia, mi sento savio.

Io certe volte sospetto di essere pazzo. E certe volte ne ho l’assoluta certezza e allora vorrei abbandonare ogni finzione di saviezza. Come è riposante non simulare più!

La cosiddetta saggezza non è assenza di pazzia, perché tutti abbiamo la stoffa dei pazzi. È soltanto la possibilità di simulare e possesso maggiore di alcuni freni. 

Il bello è, poi, che quando mi convinco di essere pazzo e decido di gettar la maschera della saggezza, mi sento in un certo senso rinsavito. Finchè simulavo la saggezza, mi sentivo pazzo. Abbandonandomi alla follia, mi sento savio. Andate a spiegare una cosa simile.

La maggior percentuale di sofferenze e di dolori- morali, s’intende- che ci procuriamo deriva dal fatto che, salvo alcune fortunate eccezioni, noi siamo dei pazzi costretti a fingerci savi e a regolarci come tali. Le fortunate eccezioni non si riferiscono a persone che non sono pazze, ma a quelle che, essendolo, non sono costrette alla simulazione.

Il male consiste nel fatto che il mondo riconosce ma non accetta la pazzia e perciò obbliga alla simulazione. Intanto, però, ognuno la riconosce soltanto negli altri. Spesso da quello di cui dice: <<è pazzo>>, il mondo pretende atti da savio.

Ora io non voglio dire che la saviezza sia infelicità e sofferenza. Lo è in quanto simulata. E questa apparente saviezza è la peggior froma di pazzia, la più sinistra, la più dolorosa. 

Invece la saviezza dovrebbe consistere nel capire quello che si è, ed esserlo veramente. Un pazzo sarà savio se si considererà pazzo e se si regolerà e ragionerà da pazzo. Sarà due volte pazzo se cercherà di regolarsi e di ragionare da savio. Beninteso, un savio sarà savio se si regolerà e ragionerà da savio.

[…] Basta afflitto, come dicevo, dal dubbio di essere pazzo, volli consigliarmi con un medico circa l’oppurtunità di sottopormi a un esame psichiatrico.

<<ma sei pazzo?>> mi disse quegli. <<perché vuoi farlo? Sarebbe una pazzia andare a mettersi in bocca al lupo>>

<<Naturalmente>> dissi << se sono pazzo, niente di strado che commetta delle pazzie>>

[…] Malrgado il parere del medico, mi presentai al manicomio e chiesi d’essere messo in osservazione.

<<che sintomi avete?>> mi domandò il direttore.

<<ecco, io mi considero pazzo>>

<<non basta. Bisogna assodare se lo siete davvero.>>

<<Perché? Nel caso che io fossi pazzo, lei mi considererebbe pazzo?>>

<<evidentemente>>

<<e sbaglierebbe. Se io fossi realmente pazzo, non sarei pazzo a considerarmi pazzo. Mentre, se non lo fossi, è chiaro che lo sarei per il fatto di ritenermi tale.>>

<<ma in che consisterebbe allora la vostra pazzia?>>

<<nel credermi pazzo senza esserlo.>>

<<ma allora non sareste pazzo, se non lo siete>>

<<Lo sarei in quanto, senza esserlo, mi ritengo tale. Se mi ritenessi pazzo essendolo realmente, questo mio credermi pazzo non sarebbe pazzia; mentre lo è se non lo sono.>>

Il direttore del manicomio si passò una mano sulla fronte. 

<<voi mi fate diventare pazzo>> mormorò.

Si volse l’assistente:

<<cosicchè, dovremmo metterlo al manicomio se non è pazzo?>>

<<Precisamente >> fece l’assistente. <<Perché, non essendolo, ritiene di esserlo. Questa è la sua forma di pazzia>>

<< ma con questo ragionamento>> obbiettò il direttore << se fosse pazzo non lo metteremmo al manicomio>>

<<Beninteso. È pazzo se non è pazzo>>

<<ma siete pazzo voi>>

<< Sarei pazzo se non ritenessi pazzo uno che non essendo pazzo si considera pazzo e che non sarebbe pazzo a considerarsi pazzo, se fosse realmente pazzo.>>

A tagliar corto il direttore mi sottopose a una minuziosa visita, sperimentò le mie reazioni, mi interrogò e alla fine mi batté affettuosamente la mano sulla spalla e disse congedandomi:

<<Andata, andate tranquillo; questo vostro ritenervi pazzo non è sintomo di pazzia, inquantoché siete realmente pazzo>>.

Me ne andai tranquillizzato, sereno, ormai, essendomi tolto un gran peso dallo stomaco: dunque non sono pazzo, visto che sono pazzo.

Achille Campanile

Treccani Enciclopedia Online

Achille Campanile, “Gli asparagi e l’immortalità dell’anima” (1974)

Carmen Troiano

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *