Se Josef Mengele bussa alla porta

L’inquietante fascinazione iconica e narrativa esercitata dal nazismo trova nel medico di Auschwitz una figura di rilievo particolarmente sinistro, che alla follia ideologica aggiunge quella “scientifica”. Un po’ come nel film “I ragazzi venuti dal Brasile”, la biografia romanzata “L’ospite” di Margherita Nani mescola realtà storica e finzione letteraria


La fascinazione iconica e narrativa esercitata dal nazismo non è certo una novità, basti pensare alla collana video con le opere della regista di regime Leni Riefensthal che già decenni or sono L’Espresso, certo non sospettabile di nostalgie o simpatie verso il Terzo Reich, allegò al settimanale. Le dittature esercitano su di noi una contraddittoria fascinazione forse proprio perché rappresentano in forme e misure diverse l’abiezione umana, di chi comanda ma anche di chi obbedisce, in un’ambiguità che Hannah Arendt scolpì in modo indelebile ne “La banalità del male”. In questo contesto, il nazismo ha però assunto un inquietante primato: fotografia, filmografia, narrativa e saggistica sul devastante corso che Hitler impresse alla storia della Germania e del mondo intero sono, non a caso, sterminate.

In questo filone, la figura di Joseph Mengele assume un rilievo ancor più sinistro, poiché alla follia politica aggiunge quella “scientifica”. Mengele si erge, nelle gerarchie svasticate, come l’artefice più spietato degli esperimenti che dovevano tradurre in prove i teoremi razziali, utilizzando come cavie i deportati nei lager, bambini e gemelli in primis. La fuga in Sudamerica compiuta dopo il crollo del regime, la caccia inesausta compiuta per ritrovarlo e consegnarlo alla giustizia hanno ispirato “I ragazzi venuti dal Brasile”, film memorabile soprattutto per la sfida attorale tra Gregory Peck e Laurence Olivier, che vestono rispettivamente i panni di Mengele – impegnato nella creazione di 95 cloni del Fuhrer – e di Ezra Lieberman, personaggio ispirato a Simon Wiesenthal.
Il medico di Auschwitz è ora protagonista de “L’ospite. Le anatomie di Josef Mengele” di Margherita Nani: una biografia romanzata che, come la pellicola, prescinde molto dalla reale e misteriosa esistenza post-nazista di Mengele. Nel libro lo incontriamo nel 1955 a Candido Godoi, nel cuore del Brasile, dove si presenta come un misterioso tedesco in cerca di una stanza. Una famiglia di affittacamere lo accoglie ma Pia Souza, la figlia adolescente dei gestori, resta subito colpita da quello straniero riservato e imperscrutabile, il quale ricambia l’attrazione per la ragazza, molto lontana dai canoni ariani ma tanto pura e vitale da ispirargli emozioni fino ad allora sconosciute. Flashback e attualità, realtà storica e finzione letteraria si alternano nel libro, facendo emergere la diabolica malvagità dell’uomo, che non sarà mai sfiorato dal pentimento o almeno dal ripensamento per gli orrori compiuti.
Escamotage narrativo fondamentale del testo è però l’analisi psicologica che l’autrice compie sul protagonista, disegnato attraverso i rapporti con la famiglia di origine, con la moglie Irene e con Teresa, una ebrea assoldata quale collaboratrice ad Auschwitz come una personalità contraddittoria e fortemente complessata. Mengele non sembra avere davvero un’anima e l’esperienza brasiliana gli confermerà che non potrà mai trovare pace. Del resto non troverà mai nemmeno la punizione terrena.

Marco Ferrazzoli


Margherita Nani, “L’ospite. Le anatomie di Josef Mengele” (Brioschi, 2019)



Fonte: Almanacco CNR – Recensioni

Denise De Santana

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