“Vittime di pace, all’ombra del passato”

In un remoto ospedale di confine, due medici, entrambi bianchi, impersonano il conflitto tra utopistica volontà di cambiamento e apatica rassegnazione: Il buon dottore, riedito da e/o, sarà presentato da Damon Galgut, giovedì, a Mantova

Nella seconda metà degli anni Novanta in Sudafrica, all’ottimismo e all’euforia che salutarono la fine dell’apartheid e la vittoria di Nelson Mandela nelle elezioni del 1994, fece seguito un periodo segnato dalle ambiguità morali e politiche di un regime mutato radicalmente in maniera troppo repentina. Mentre gli scrittori che cercavano di raccontare il nuovo Sudafrica, pur sottolineando le incongruenze del presente, guardavano comunque al futuro con qualche fiducia (lo stesso Coetzee offre uno spiraglio di speranza sul finale del suo sconsolato Vergogna), nel paese veniva opponendosi all’idealismo dei giorni della lotta un razionale pragmatismo.

“Libri e malattia: i classici della letteratura da recuperare”

I testi imprescindibili della letteratura che ruotano intorno al tema della malattia. Da recuperare durante questo periodo di “clausura”

Nel saggio, che ha avuto circolazione autonoma e ha subito diverse revisioni nel passaggio da un’edizione all’altra (le piu importanti: la prima del 1926 e quella definitiva del 1930), Virginia Woolf lamenta che la letteratura non abbia rivolto alla malattia fisica altrettanta attenzione che alle attività della mente. «A impedire la descrizione della malattia in letteratura ci si mette anche la povertà del linguaggio. L’inglese, che può esprimere i pensieri di Amleto e la tragedia di re Lear non ha parole per i brividi e il mal di testa».

Fonte: Corriere della Sera

Favole

Fedro racconta in questa favola una situazione ricorrente dell’arte medica occidentale: un medico che costruisce la sua fortuna sulla stoltezza di una massa che approva le sue false conoscenze.

Un cattivo calzolaio, ridotto in miseria, si mise a esercitare la medicina in un paese dove non era conosciuto, e continuando a spacciare un antidoto, falso di nome e di fatto, si procurò con le sue abili chiacchiere una certa fama. Ora avvenne che il re della città fosse costretto a letto, sfinito da una grave malattia; questi, per metterlo alla prova, chiese un bicchiere, vi versò dell’acqua, fingendo di mescolare del veleno con l’antidoto e gli comandò di berlo fino in fondo, dopo avergli promesso un premio. Per paura di morire, lui allora confessò di essere diventato famoso come medico non già per una qualche competenza di quest’arte, ma per la stupidità della gente. Il re convocò quindi il popolo e pronunciò queste parole: «Che pazzia è la vostra? Riuscite a capirlo voi che non esitate ad affidare la vostra testa a uno cui nessuno ha mai consegnato i piedi da calzare?».
Direi che questo racconto riguarda coloro la cui stoltezza è occasione di guadagno per gli imbroglioni.

Fedro

Papà Goriot

Antologizziamo qui la scena della morte di Goriot, fiaccato dagli anni e dalle delusioni della vita, tra le quali un amore patologico e non corrisposto per le figlie, che si segnalano per la loro distanza ed assenza nei confronti del padre.

«Non dimentichi Sylvie», bisbigliò la signora Vauquer all’orecchio di Eugène, «sono due notti che veglia».
Appena Eugène ebbe voltato le spalle, la vecchia corse dalla cuoca. «Prendi le lenzuola rivoltate, numero sette. Perdio, vanno anche troppo bene per un morto», le disse all’orecchio.
Eugène, che aveva già salito qualche scalino, non sentì le parole della vecchia locandiera.
«Forza», gli disse Bianchon, «infiliamogli la camicia. Tienilo diritto».
Eugène si mise a capo del letto e sorresse il moribondo al quale Bianchon tolse la camicia. Il vecchio fece un gesto quasi volesse trattenere qualcosa sul petto, ed emise dei gridi lamentosi e inarticolati, come un animale che abbia un grande dolore da esprimere.
«Ah, sì!», fece Bianchon. «Vuole una catenella di capelli con un piccolo medaglione che prima gli abbiamo
tolto per applicare le sanguisughe. Pover’uomo! Bisogna rimettergliela. È sul caminetto». Eugène andò a prendere una catenella intrecciata di capelli biondo cenere, sicuramente quelli della signora Goriot. Su una faccia del medaglione lesse: Anastasie, e sull’altra: Delphine. Immagine del suo cuore che riposava
sempre sul suo cuore. I riccioli che conteneva erano talmente fini che dovevano essere stati tagliati nella loro prima infanzia. Quando il medaglione gli toccò il petto, il vecchio fece un haan prolungato che manifestava una soddisfazione terribile a vedersi. Era uno degli ultimi echi della sua sensibilità, che pareva ritrarsi in quel centro sconosciuto, origine e punto d’arrivo delle nostre simpatie. Il suo viso contratto assunse un’espressione di gioia morbosa. I due studenti, colpiti da quella tremenda esplosione di forza affettiva che sopravviveva al pensiero, piansero calde lacrime che caddero sul moribondo strappandogli un grido di acuto piacere.
«Nasie! Fifine!», esclamò.
«È ancora vivo», disse Bianchon.
«A che gli serve?», chiese Sylvie.
«A soffrire», rispose Rastignac.
Dopo aver fatto cenno al compagno perché lo imitasse, Bianchon s’inginocchiò per infilare le braccia sotto le gambe del malato, mentre Rastignac s’inginocchiava dall’altra parte del letto per infilarle sotto la schiena. Sylvie si teneva pronta a tirar via le lenzuola appena il moribondo fosse stato sollevato, per sostituirle con quelle che aveva portato. Ingannato forse dalle lacrime, Goriot impiegò le ultime forze per tendere le mani incontrando ai due lati del letto le teste degli studenti. Le afferrò con violenza per i capelli, e lo si udì mormorare fievolmente: «Ah! Angeli miei!».
Due parole, due mormorii espressi dall’anima che così sospirando volò via.

Honoré de Balzac

David Copperfield

Il brano antologizzato riguarda la terribile morte della prima moglie di David, Dora, che viene a mancare a causa di un aborto spontaneo.

Tento di trattenere le lacrime e di rispondere: «Oh, Dora, amor mio, eri adatta come lo ero io per essere un marito!»
«Non lo so,» e scuote ancora i riccioli come un tempo. «Forse! Ma se fossi stata più adatta al matrimonio, avrei reso più adatto anche te. Inoltre tu sei intelligente, e io non lo sono mai stata.»
«Siamo stati molto felici, Dora mia dolce.»
«Sono stata molto felice, molto. Ma, col passar degli anni, il mio caro ragazzo si sarebbe stancato della sua moglie-bambina. Sarebbe stata sempre meno un compagno per lui. E lui avrebbe sentito sempre più quello che mancava nella sua casa. Non sarebbe migliorata. È meglio che sia andata così.»
«Oh, Dora, cara, cara, non dirmi queste cose. Ogni tua parola mi sembra un rimprovero!»
«No, nemmeno una sillaba!» mi risponde baciandomi. «Oh, caro, non lo meriti, e io ti amo troppo per dirti una sola parola di rimprovero, davvero: è tutto il merito che ho avuto oltre al fatto di essere graziosa… o almeno tu mi consideravi tale. C’è molta solitudine da basso, Doady?»
«Tanta! Tanta!»
«Non piangere! C’è ancora la mia sedia?»
«Al suo solito posto.»
«Oh, come piange il mio povero ragazzo! Zitto, zitto! Adesso fammi una promessa. Voglio parlare ad Agnes. Quando scendi, dillo ad Agnes e mandamela su; e mentre le parlo non lasciar venire nessuno, nemmeno la zia. Voglio parlare solo ad Agnes. Voglio parlare ad Agnes da sola.»
Le prometto che verrà subito; ma, nel mio dolore, non posso lasciarla.
«Ho detto che è meglio che sia andata così!» mi mormora tenendomi fra le braccia. «Oh, Doady, fra qualche anno tu non avresti amato la tua moglie-bambina più di quanto la ami adesso; e dopo qualche anno ancora lei ti avrebbe così messo alla prova e deluso che tu non saresti stato capace di amarla nemmeno la metà di adesso! So che ero troppo giovane e stupidella. È molto meglio che sia andata così!»
Quando scendo in salotto, Agnes è lì; le comunico il messaggio. Scompare lasciandomi solo con Jip.
La sua pagoda cinese è accanto al fuoco; lui vi è sdraiato dentro, sul suo letto di flanella, tentando
lamentosamente di dormire. La luna brilla luminosa nell’alto. Mentre guardo fuori nella notte, le lacrime mi cadono copiose e il mio indisciplinato cuore è castigato duramente… molto duramente.
Mi siedo accanto al fuoco pensando con un sordo rimorso a tutti i segreti sentimenti che ho nutrito durante il mio matrimonio. Penso a ogni piccola cosa intervenuta fra me e Dora, e capisco la verità che di piccole cose è formata la nostra vita. Sempre risorge dal mare dei ricordi l’immagine della cara fanciulla quale l’avevo conosciuta dapprima, aggraziata dal mio giovane amore e dal suo, con tutte le magie di cui questo amore è ricco. Sarebbe stato davvero meglio se ci fossimo amati come due fanciulli e ci fossimo poi dimenticati? Indisciplinato cuore, rispondi!
Non so come il tempo trascorra; finché sono richiamato a me dal vecchio compagno della mia moglie-
bambina. Più inquieto del solito, si trascina fuori della sua casa, e mi guarda, e va incerto alla porta, e uggiola per salire.
«Non stanotte, Jip! Non stanotte!»
Torna molto lentamente verso di me, mi lecca la mano e alza verso il mio volto i suoi occhi appannati.
«Oh, Jip! Forse non avverrà mai più!»
Si abbandona ai miei piedi, si allunga come per dormire, e, con un grido lamentoso, muore.
«Oh, Agnes, guarda qui!»
…Quel volto, così pieno di pietà e di dolore, quel fluire di lacrime, quel terribile, silenzioso appello a me,
quella mano solenne levata verso il cielo!

Charles Dickens

Vecchio a chi?

La giovanilistica società di oggi influenza il nostro modo di percepire la “terza età”: da fase esistenziale della saggezza e dell’agognato riposo, conquistato dopo anni di lavoro, è talvolta temuta come momento di decadimento fisico, solitudine, disagio per la mancanza di autonomia. Anche a causa dell’aumento della longevità e dell’età media. Tuttavia, i progressi della medicina dovrebbero farci affrontare questo periodo con più serenità rispetto al passato


“A Peppì nun me coprì quelle rughe che c’ho messo tanto tempo a falle!”. Anna Magnani, emblema del cinema neorealistico, sul set così si rivolse a un truccatore, confermando il suo personale modo di intendere l’arte come vita, oltre a un carattere schietto, capace di guardare in faccia la realtà. Tale reazione oggi suona come una beffa al dilagare dei rimedi per contrastare i segni dello scorrere del tempo sul nostro corpo e in particolare sul viso: dagli interventi chirurgici all’uso di prodotti dermatologici, alle ore dedicate all’esercizio fisico. “La paura di invecchiare è drammaticamente doversi confrontare con l’immagine che ci siamo costruiti di noi stessi e che gradualmente cambia. Questa lettura la facciamo soprattutto sul territorio di confine mondo esterno-interno che è la pelle con i suoi annessi cutanei: capelli, peli, unghie, ghiandole sudoripare, sebacee”, spiega Gennaro Spera già dermatologo del Consiglio nazionale delle ricerche. “Pensiamo ad esempio al primo segnale di invecchiamento che è l’incanutimento o in altri casi, soprattutto maschili, alla calvizie. E poi l’attenzione si accentua sulle rughe”.

Tale paura, al di là di un fatto estetico, può celare ansie più profonde come quella di essere abbandonati, di perdere l’autonomia o la gradevolezza agli occhi degli altri, finendo per essere emarginati. Tali problematiche sono racchiuse nel termine gerascofobia che interessa una popolazione sempre più ampia, anche a causa  del calo demografico e dell’aumento della popolazione nella “terza età”. In contrapposizione a questo trend, la società contemporanea esalta l’efficientismo, la carriera, il giovanilismo e il corpo fino al parossismo, mettendo in crisi anche  quella fase della vita in cui “la frenesia della vita giovanile si zittisce in riflessioni sul senso delle cose, in un riflettere che riassume una lunga esperienza e che forse arriva a rispondere alle tante domande che si suole fare in gioventù”, afferma lo scrittore Michel Houellebecq, che mette in luce la crisi di valori dell’Occidente  nel romanzo “La possibilità di un’isola” (2005 Bompiani), dove ha indagato  la relazione tra gioventù e terza età, bellezza e decadenza fisica.

Fino all’epoca preindustriale la vecchiaia era l’equivalente di saggezza, ponderatezza esperienza da elargire alle nuove generazioni, valori testimoniati ad esempio nei celebri film “L’albero degli zoccoli” di Ermanno Olmi e in “Novecento” di Bernardo Bertolucci. Andando indietro nel tempo, in epoca romana la dignità della figura dell’anziano era un valore condiviso nella società, soprattutto in età repubblicana dove la sua parola aveva un grande peso nelle scelte. Cicerone nel “De Senectute”, trattato scritto nel 44 a.C., si serve della figura di Catone il Vecchio per difendere le virtù della senilità, opponendosi ai luoghi comuni che la definiscono come periodo di decadenza. A partire dall’età imperiale, i poeti elegiaci guardano il tempo che passa inesorabilmente sottraendoci i piaceri e la bellezza, e la satira, come quella di Marziale, diventa caustica nei confronti di coloro che non si rassegnano alle conseguenze dell’età e si crogiolano in atteggiamenti esuberanti.

L’iconografia artistica ha sempre celebrato la bellezza, la grazia, l’armonia del corpo. Nelle scene che ritraggono la Visitazione, come quella dipinta da Giotto nella Cappella degli Scrovegni o nel gruppo Sant’Anna, la Vergine e il Bambino con l’agnellino dipinto da Leonardo da Vinci (Museo del Louvre, 1510-1513), Marta e Anna, entrambe avanti negli anni, hanno sempre un aspetto nobile che delicatamente suggerisce un età più matura. Donatello rompe questa consuetudine proponendo una Maddalena (Museo dell’Opera del Duomo, 1453-55) emaciata, consunta dall’età e dalla povertà: ossuta e sdentata  comunica il senso del riscatto cristiano nella sofferenza. Allude invece alla vanità “La vecchia” di Giorgione (Gallerie dell’Accademia a Venezia,1506), figura che regge un cartiglio con il motto “Col tempo”, e, passando per il realismo rivoluzionario di Caravaggio, notiamo come  il  pittore olandese Rembrandt van Rijn, tra i molti autoritratti che eseguì ebbe il coraggio di rappresentarsi anche nella fase meno esaltante della sua vita (Autoritratto del 1669 nel museo Mauritshuis, L’Aja), appesantito dalle rughe e incorniciato dalla canizie. La pittura del Novecento enfatizza il senso di disagio, la solitudine, il declino fisico: ne “Le tre età della donna” di Gustav Klimt (Galleria nazionale d’srte moderna di Roma,1905) l’anziana si copre gli occhi con la mano in un gesto di vergogna; Angelo Morbelli (1853-1919) offre una tematizzazione della senilità con un ciclo di opere ritraendo persone dentro ospizi. Passando ai ritratti di Lucian Freud (1922-2011), osserviamo che la forza espressionistica dell’artista indugia anche sulla crudezza di particolari di volti non più giovani.

Oggi la cura del corpo è diventata una voce attiva del marketing. “L’industria cosmetica in Italia ha un fatturato di circa 10.000 milioni di euro, di cui le sole tinture dei capelli 300”, commenta Spera. “La psicosomatica dermatologica ha da sempre sottolineato come la pelle è il territorio dove avviene la ‘superficializzazione’ di situazioni conflittuali nascoste. Sulle rughe cosiddette di espressione si cerca di agire con la tossina che ‘paralizza’ e toglie una parte della nostra mimica; altro presidio sono i filler ‘riempitivi’ che ‘spianano’ gli antiestetici solchi nel volto. C’è poi l’intervento più invasivo che è il lifting, che nella mente dell’individuo spesso viene considerato come rimedio che fissa per sempre la propria immagine. Bisogna però ricordare che la nostra fisicità è data non solo dalle fattezze morfologiche, ma anche dal complesso della mimica, della gestualità e di molte altre componenti. Pertanto ogni intervento di contrasto all’invecchiamento deve essere attuato cercando di preservare al massimo la propria identità”.

Se non è possibile ostacolare il processo naturale, possiamo affrontare con più serenità la terza età grazie ai progressi della medicina e al miglioramento dello stile di vita. “Nel 1970, l’aspettativa di vita era di 69 anni per l’uomo e di 75 per la donna. Nel 2019, prima della pandemia, eravamo arrivati rispettivamente a 81 e a 85,5; questo traguardo si deve a vari fattori, quali la netta riduzione dei fumatori, l’aumento delle persone che praticano attività fisica, la capacità di diagnosi strumentali sempre più esatte e precoci, farmaci a nostra disposizione, tecniche chirurgiche che hanno reso fattibili e più sicuri interventi che apparivano complessi o, addirittura, non praticabili”, spiega Roberto Volpe dell’Unità prevenzione e protezione del Cnr. “Certo, purtroppo, la maggiore longevità non si accompagna sempre ad anni in salute fisica e/o mentale e, anzi, facilmente si assiste a un decadimento cerebrale, come  la demenza legata a fattori di rischio, combattendo i quali possiamo provare a prevenirla. A tal riguardo, va ricordato come la Dieta mediterranea, apportando vitamine e polifenoli ad azione antiossidante, appare in grado di contrastare i danni dei radicali liberi causa di un invecchiamento patologico e, presentando un buon contenuto in acidi grassi monoinsaturi (presenti nell’olio di oliva) e in grassi omega-3 (pesce, noci), concorre al mantenimento della struttura delle membrane delle cellule nervose. Ma anche l’attività fisica è fondamentale nella terza età: anche un esercizio fisico moderato come il camminare o fare la cyclette può stimolare l’ippocampo, la struttura del cervello deputata alla memoria, e migliorarla. Pertanto, una longevità di qualità è possibile”.

Insomma, se si sopportano bene gli acciacchi dell’età, “vecchio è chi ci si sente”, per dirla con la regina di Inghilterra che a 95 anni ha rifiutato un premio per gli anziani dalla rivista britannica “The Oldie”.

Sandra Fiore

Fonte: Almanacco CNR-Focus-Vecchio a chi?

Attraverso l’arte e le discipline umanistiche è possibile conoscere lo sviluppo dei metodi di cura e i ruoli degli operatori sanitari nel corso dei secoli. Tale bagaglio è un prezioso patrimonio per la professione medico e sanitaria, perché crea empatia e una corretta relazione con il paziente. Il volume di Vincenza Ferrara, docente presso l”Università Sapienza di Roma, illustra la storia di questa complessa materia e le sue applicazioni


Le Medical humanities cosa sono e a cosa servono? Lo spiega il volume “L’arte come strumento per la formazione in area medica e sanitaria” (Aracne editore), scritto da Vincenza Ferrara, docente presso l”Università Sapienza di Roma e pioniera nell’insegnamento di questa disciplina che è una “sinergia” di materie di studio assai differenti. “La definizione, utilizzata in un campo interdisciplinare della medicina e in generale della cura, include la letteratura, filosofia, storia e religione, le scienze sociali (antropologia, psicologia e sociologia), le arti (letteratura, teatro, film e arti visive) e la loro applicazione sia nell’educazione medica che nella pratica clinica”, spiega l’autrice. Già nel 1994, in un articolo scientifico apparso negli Stati Uniti, veniva sottolineato che l’assistenza infermieristica non può svilupparsi da un background basato esclusivamente sulle scienze fisiche e sociali. Il personale sanitario, grazie a questi studi, può ridurre il gap nel rapporto con i pazienti e “umanizzare” la cura, superando una visione esclusivamente biomedica della professione. Dal 2014 è stata istituito presso l’Università di Roma un gruppo di ricerca per applicare il metodo nell’ambito della Medical education, cui è dedicato un laboratorio diretto dalla stessa Ferrara; è stata attivata una sperimentazione nei corsi di laurea in Medicina, Scienze infermieristiche e nella formazione specifica in Medicina generale.

Nello scorrere le pagine del libro sorprende rilevare quanto resti archeologici, sculture, dipinti, possano testimoniare lo sviluppo della scienza medica e l’affinarsi dello sguardo dell’artista nel ritrarre anche le imperfezioni del corpo umano, elementi che consentono di comprendere la diffusione di alcune patologie nel passato, campo di indagine dell’icodiagnostica. Basta andare nell’antica Grecia, dove gli anatomisti chiedevano aiuto agli artisti, “la dissezione era praticata sui corpi degli animali, mentre era vietato esplorare l’anatomia umana per motivi sociali e religiosi… Solo due medici ellenistici, che hanno operato ad Alessandria d’Egitto circa tra il 330 e il 240 a.C., sono noti non solo per l’uso della dissezione sistematica dei cadaveri, ma anche per la pratica della vivisezione sperimentale condotta sui condannati a morte: Erofilo ed Erasistrato”.

Nel Discobolo (copia del secolo II d.C. da originale greco del V secolo a.C.), conservato al Museo nazionale romano in Palazzo Massimo, ammiriamo i gruppi muscolari dell’atleta ritratti nell’atto di partecipare al movimento. Nei corso dei secoli, molti pittori – da Leonardo da Vinci a Michelangelo a Raffaello – hanno approfondito l’esame delle parti del corpo. Nel XVI secolo Bartolomeo Passarotti realizzò il dipinto “Lezione di anatomia per artisti” (Galleria Borghese, Roma) e Rembrandt nel 1632 raffigurò il dottor Tulp mentre mostra l’anatomia del braccio di un condannato a morte (Mauritshuis, L’Aia). L’autrice cita altri esempi di legame tra arte e medicina, che si traducono nelle modalità di riprodurre e conservare i corpi, quali la ceroplastica anatomica e la recente plastinazione, messa a punto da Gunther von Hagens. La rappresentazione della cura nell’arte, conclude Ferrara, è stimolante anche per lo sviluppo dell’empatia e della relazione tra personale di cura e paziente.

Sandra Fiore



Vincenza Ferrara, “L’arte come strumento per la formazione in area medica e sanitaria”, Aracne (2020)

Fonte Almanacco CNR-Recensioni-Le Humanities per la pratica medica

L’arte vista con occhio clinico



Prosegue il viaggio di Giorgio Weber, professore ordinario e direttore dell’Istituto di anatomia e istologia patologica nell’Università di Siena dal 1968 al 1993, nell’indagine dell’arte vista non con l’occhio del critico e dell’esteta, ma con quello dell’anatomopatologo


Dopo il primo volume del 2011, ‘Mal d’arte’ in cui aveva cominciato il suo percorso di contaminazione tra l’ambito scientifico e quello artistico, Weber torna con ‘Le voci della materia. Patologo tra gli artisti’ a porre ulteriori interrogativi e osservazioni, sottolineando come la malattia abbia un ruolo chiave nella resa emozionale delle opere.

L’attenzione si focalizza quindi sullo storpio dell’affresco inserito da Masaccio nella Cappella Brancacci, sul corpo del putto del Chiostro Verde in Santa Maria Novella a Firenze, sulle mani segnate dall’artrite nel ritratto con cui Pontormo omaggia Cosimo il Vecchio e sul pallore sinistramente cianotico che caratterizza il celebre volto della Venere di Botticelli.

L’analisi dell’anatomopatologo, oltre a coinvolgere artisti come Albrecht Dürer, Paolo Uccello, Lucien Freud e Francis Bacon, si concentra sulle produzione letterarie di autori come Ariosto, Omero e Petrarca. L’intento è quello di creare un ponte tra la raffigurazione estetica e l’evoluzione scientifica, in maniera provocatoria e coinvolgente.

Weber Giorgio, Le voci della materia. Patologo tra gli artisti, Mauro Pagliai Editore

Alla ricerca dell’arte perduta

Tate e Channel4, con l’appoggio dell’Arts & Humanities Research Council britannico, hanno deciso di dare vita a un nuovo progetto culturale: raccogliere, in un’esposizione virtuale, le opere dell’arte contemporanea non più visibili, per illustrare, attraverso il tema dell’oblio, della perdita, volontaria o involontaria, il rapporto dell’arte contemporanea con il tempo


Tate e Channel4, con l’appoggio dell’Arts & Humanities Research Council britannico, hanno deciso di dare vita a un nuovo progetto culturale: raccogliere, in un’esposizione virtuale, le opere dell’arte contemporanea non più visibili, per illustrare, attraverso il tema dell’oblio, della perdita, volontaria o involontaria, il rapporto dell’arte contemporanea con il tempo. Da questa idea è nato il sito web ‘Gallery of lost art‘, sviluppato in tecnologia Flash, elegante e artisticamente molto curato.

Gallery of lost art‘ si presenta con una landing page che rappresenta un grande open space, visto dall’alto, navigabile come una mappa di Google. Una serie di aree tracciate sul pavimento circoscrive alcuni piani di lavoro, attorno ai quali si aggirano figure umane. A terra e sui tavoli sono raggruppate le immagini delle opere d’arte in base alle cause di sparizione: distrutte, rifiutate, effimere, rubate, perdute, etc.

Cliccando sull’immagine di un’opera, si accede alla sua scheda informativa: immagini, testo e contenuti multimediali. Possiamo così informarci non solo sulla scomparsa di ‘Fountain’ di Duchamp, il famoso orinatoio proposto nel 1917 alla mostra inaugurale della Society of Independent Artists di New York, diventato pilastro e simbolo del dadaismo, ma anche sulla scomparsa di opere di Frida Kahlo e Lucian Freud, e sull’incredibile furto del colossale bronzo ‘Reclining Figure’ di Henry Moore, sottratto la notte dell’1 dicembre 2005 dai giardini dell’Henry Moore Foundation, valutato circa 3 milioni di sterline, fuso dai ladri per il mero valore del bronzo.

Gallery of lost art‘ è un sito in progressivo allestimento: intende aggiungere un nuovo pezzo a settimana. Terminato il suo periodo di vita, stabilito in 12 mesi, svanirà, replicando l’oblio proprio delle forme d’arte che ospita.

In questo secolo senza più assoluti, dominato da una sempre più vistosa precarietà esistenziale, l’arte e la sua concezione intellettuale cedono sempre più a quel sentimento di provvisorietà che tutto pervade. Se l’artista, per Michaux, era colui che resiste con tutte le sue forze alla pulsione fondamentale di non lasciare tracce, questa consapevolezza viene ormai meno, e l’arte, e chi ne ragiona, pare aver ormai deciso di non persistere oltre nella difesa della perennità.

Claudio Barchesi


Gallery of lost art, Multimediale, editore Tate e Channel4

Taras Bul’ba

Un koševoj dà utili consigli ai militari per gestire le ferite della guerra: si tratta di un utile prontuario e contemporaneamente di una testimonianza della medicina nei campi militari al tempo di Gogol.

«Ispezionate, ispezionate tutto per bene!», così diceva. «Riparate i carri e gli ingrassatori dei mozzi, provate le armi. Non prendete molto vestiario con voi: una camicia e due paia di brache per ogni cosacco e un vaso di farina d’avena e di miglio macinato – che nessuno ne abbia di più! Sui carri ci saranno tutte le provviste che occorrono. Che

ogni cosacco abbia un paio di cavalli. E che si prendano un duecento coppie di buoi, perché ai guadi e nei luoghi paludosi occorreranno i buoi. Ma soprattutto, panove, mantenete l’ordine. Io so che tra voi vi sono alcuni che, non appena Dio manda qualche bottino, subito si mettono a lacerar seta e preziosi broccati per farsene pezze da piedi. Smettete questa maledetta abitudine, gettate lontano ogni sorta di sottane, prendete soltanto le armi, se ne capitano di buone, e le monete d’oro o d’argento perché occupano poco posto e fanno comodo in ogni caso. E poi, panove, ve lo dico in anticipo: se qualcuno durante la campagna si ubriaca, per lui non ci sarà giudizio. Come un cane ordinerò che sia attaccato al carro per il collo, chiunque egli sia, foss’anche il cosacco più valoroso di tutto l’esercito. Sarà fucilato sul posto come un cane e sarà abbandonato senza sepoltura in pasto agli uccelli, perché chi si dà all’ubriachezza durante la campagna è indegno della sepoltura cristiana. Giovani, obbedite in tutto agli anziani! Se vi scalfisce una pallottola o se vi scuoiano la testa o qualcos’altro con la sciabola, non fate gran caso a ciò. Mescolate una carica di polvere in una tazza di sivucha, bevetela d’un fiato e vi passerà tutto, non vi verrà neppure la febbre; e sulla ferita, se non è troppo grande, metteteci semplicemente della terra, dopo averla impastata con la saliva nel palmo della mano, e la ferita si seccherà. Orsù, dunque, al lavoro, al lavoro, ragazzi, senza affrettarvi, mettetevi per benino al lavoro!».

Nikolaj Vasil’evič Gogol’

Fonte: