Nuove tecnologie, un aiuto contro l’handicap


Le storie raccontate dall’autore, intrecciate alla sua esperienza personale, offrono uno spaccato realistico di come sia possibile realizzare i propri obiettivi e vivere appieno la propria vita, convivendo con un handicap fisico.

 

Davide Cervellin è un imprenditore di successo: la sua azienda, la Tiflosystem, si occupa di tecnologia e servizi per l’autonomia delle persone disabili, categoria alla quale il titolare appartiene in quanto cieco dall’età di sedici anni. Attualmente, Cervellin si occupa anche di produzioni agricole di qualità, di energie rinnovabili e costruzioni biocompatibili.

L’esperienza personale ha portato l’imprenditore a occuparsi in maniera stabile di persone fisicamente handicappate ma capaci di vivere normalmente, conducendo riuscite esperienze famigliari e professionali. Un impegno che sostanzia nel sostegno alle missioni cristiane della onlus CBM Italia, attive nell’aiutare i ciechi in tutto il mondo, e nell’attività editoriale, con libri come “Quando un cieco vede oltre. Come i diversi possono essere utili” e “Disabili. Come trasformare un limite in un’opportunità”. Sempre per Marsilio, esce ora il terzo libro, “Senza maschera”, in cui l’autore traccia un percorso in parte autobiografico. Paolo, il protagonista, dopo l’incidente che lo invalida non rinuncia alla laurea, al matrimonio, al lavoro, all’impegno per cui si sentiva vocato e riesce a ottenere ciò che si prefigge grazie all’aiuto degli amici e delle nuove tecnologie: display braille, sintetizzatori vocali, comunicatori a voce digitalizzata, programmi di didattica riabilitativa.

Nelle storie che Cervellin racconta non appaiono né commiserazione, né certe esaltazioni che a volte pervadono questo tipo di letteratura. Con molto realismo l’autore evidenzia semplicemente come la tecnologia possa aiutare la persona svantaggiata a colmare il gap con la ‘normalità’.

 

Marco Ferrazzoli

 

Davide Cervellin, “Senza maschera” (Marsilio, 2007)

La pecora nera


Attraverso il protagonista Nicola, l’autore fa rivivere le memorie dei manicomi, tra pianto e risate, luci ed ombre.

 

Ascanio Celestini è, con Marco Paolini e Duccio Camerini, uno degli affabulatori più efficaci del nostro teatro. La sua grande capacità narrativa poggia su un uso ‘gaddiano’ del romanesco, che accentua la immediatezza del racconto senza ridurlo in termini localistici, e un tono apparentemente svagato e sopra le righe.

Una caratteristica comune a questi attori, peraltro, è proprio il porsi come personaggi ai confini, border-line, voci di un’umanità marginale che, altrimenti, verrebbe ridotta al silenzio.

L’intento diviene particolarmente evidente con questo ‘La pecora nera’, un percorso creativo dentro la malattia mentale in cui Celestini ha voluto fare da cicerone mediante il protagonista Nicola e il suo doppio, tra le illuminazioni e le confusioni di un percorso scavato nel buio. Attraverso le testimonianze e le memorie di infermieri, medici e pazienti, l’autore spiega non solo che l’istituzione manicomiale è di fatto ancora attiva, ma soprattutto che le parole e le paure dei ‘matti’ sono ben vive dentro ognuno.

Le storie raccontate in questo libro hanno il proposito di commuovere e divertire, senza remore nello sfruttare l’appeal comico della follia, che qualcuno ritiene erroneamente politicamente scorretto, mentre invece, da sempre, la risata è uno dei ponti possibili per instaurare il dialogo tra i mondi della ‘normalità’ e della malattia mentale.

 

Marco Ferrazzoli

 

Ascanio Celestini, “La pecora nera” (Einaudi editore, 2006)

https://www.einaudi.it/catalogo-libri/narrativa-italiana/narrativa-italiana-contemporanea/la-pecora-nera-ascanio-celestini-9788806184018/

Quando l’Alzheimer diventa poesia


Il toccante atto d’amore del poeta Alberto Bertoni verso il padre malato, in una raccolta poetica che dà voce anche ai familiari ed alle loro “umanissime reazioni”.

 

Docente di Letteratura a Bologna, critico, curatore di antologie poetiche, Alberto Bertoni ci consegna un libro che colpisce per la traduzione di un serio problema familiare e personale in versi di grande asciuttezza, quasi “clinici”. “Ricordi di Alzheimer” – titolo ossimorico o almeno fortemente provocatorio, considerato come questa patologia colpisca a fondo, tra varie facoltà cognitive, quelle mnemoniche – racconta il rapporto dell’autore con il padre malato: affettuoso, amorevole, nostalgico, ma tutt’altro che immune dalle umanissime reazioni che la terribile patologia induce nei parenti che accudiscono chi ne viene colpito.

‘E’ noto che l’Alzheimer tende a distruggere la vita non solo dei pazienti ma anche dei loro familiari: io non ho fatto eccezione’, scrive sinceramente l’autore nell’introduzione. Mentre, nelle poesie, leggiamo un accorato: ‘Papà, non sopporto / le tue sofferenze / Le tue depressioni improvvise, il terrore / quotidiano di morire’. E ancora: ‘Oggi non sopporto mio padre / Voglio che il cane dietro l’inferriata / gli morda la mano gliela inghiotta’. Nei versi c’è spazio anche per quel tocco d’amara ironia con il quale, talvolta, si prova ad alleggerire la dolorosa fatica di assistere un parente non più in sé: ‘Con le nuove targhe / non si raccapezza più mio padre / tutto un Arezzo, Avellino, Campobasso / così domanda se in blocco i modenesi / oggi vanno a piedi’.

La storia termina con la scomparsa del genitore e con un dolore nella cui descrizione potrà riconoscersi chiunque ci sia passato attraverso: ‘Mi sembrava un attimo fa / ed invece era già / nel millennio passato / l’ultima volta che abbiamo parlato… / Oggi non c’è il babbo? / chiede il cameriere grasso / e non sa cos’avrei pagato / per trascinarti a pranzo’.

Le poesie sono molto belle: anche quelle in dialetto e quelle dedicate a un curioso episodio occorso all’autore, una molto kafkiana larva di insetto sottocutanea, ‘partorita’ dal polso. E “Ricordi di Alzheimer” è un libro importante poiché, esprimendo senza far ricorso all’enfasi alcuni sentimenti fondamentali dell’animo umano, come la tenerezza, dimostra come la poesia possa essere la modalità espressiva privilegiata per “oggettività”, proprio in quegli ambiti esistenziali che oggi vengono invasi irriguardosamente dalla pateticità di altri mezzi, quali il giornalismo.

 

Marco Ferrazzoli


Alberto Bertoni, “Ricordi di Alzheimer” (Book Editore, 2008)

L’illusione della droga ‘sociale’


Una testimonianza lucida e un viaggio all’interno del mondo delle droghe “leggere”, con l’invito ad aprire gli occhi e a guardare il dramma che è presente, soprattutto tra i giovani.

Circa quattro milioni di italiani nell’ultimo anno hanno fatto uso di droghe ‘leggere’.  E’ uno dei dati dai quali parte l’analisi di ‘Degenerazioni. Droga, padri e figli nell’Italia di oggi’ (Rubbettino). Il giornalista e saggista Alessandro Barbano vi ha raccolto dati ed esperienze che confermano come abuso e dipendenza siano solo la cartina di tornasole di una società in cui si è rotto il ruolo generazionale, nella quale le istituzioni formative (scuola, famiglia) hanno abdicato al loro ruolo.

Non si tratta dunque semplicemente di un libro sulla tossicodipendenza, ma di un saggio documentato e – insieme – una testimonianza appassionata sulla “crisi dei valori che ad essa si connette”. Bisogna guardare alla realtà del dramma e non ai fumi delle utopie, spiega l’autore, chiedendo: ‘Che peso ha oggi la categoria dei doveri nell’etica, nell’impegno politico e sociale, nell’educazione?’.

Il libro punta prima l’indice di tutto sui genitori, gli insegnanti, gli adulti. ‘La droga spesso diventa un segreto di famiglia, condiviso tra le generazioni con un silenzio complice’, spiega l’autore, come ‘un male oscuro che dalla famiglia si proietta sulla scuola e in tutti i presidi formativi. Il processo di disintegrazione della morale pubblica è così compiuto’. E la scuola, grande assente sulla droga, è la stessa ‘scuola che non vede il disagio, bullismo o droga, che arretra di fronte al disagio, che lo rimuove. Che ha totalmente chiuso gli occhi e ignora la devastazione, per debolezza e incompetenza. In parte perché i suoi insegnanti sono gli stessi padri cresciuti nel mito della trasgressione. E per difendersi da un accerchiamento capillare di cui ha percepito il pericolo’.

Barbano parla di ‘schiavitù inconsapevole’, per definire una situazione di arrendevolezza ‘in cui il massimo di libertà coincide con il minimo di libertà, la potenza coincide con la debolezza, l’autonomia coincide con la dipendenza, l’intelligenza con la cecità’. Una schiavitù di cui la diffusione della cocaina, con il suo ‘brodo di coltura’ alimentato ‘dagli esempi di modelle e testimonial dalla narice larga, nella cui vita la coca ha un alone di fascino’, è la principale evidenza. ‘Ma su quest’evidenza la società ha chiuso gli occhi’, avverte Barbano, facendoci tornare persino indietro rispetto agli anni ’70 e ’80 dell’eroina e del suo inferno di solitudine e di esclusione. Già, perché la nuova droga garantisce una illusoria, pericolosa ‘socialità fittizia’.

Marco Ferrazzoli

Alessandro Barbano, “Degenerazioni. Droga, padri e figli nell’Italia di oggi” (Rubbettino, 2008)

https://www.store.rubbettinoeditore.it/autore/alessandro-barbano/

Psichiatra sull’orlo di una crisi (e di un viadotto)


Un incidente che fa rivivere istante per istante la propria vita, un misterioso omicidio e gli intrecci tra i protagonisti sono gli ingredienti del giallo di Enrico Baraldi.

 

“Psicofarmaci agli Psichiatri” potrebbe sembrare uno slogan di ribellione contro gli eccessi della farmacologizzazione delle malattie mentali, di cui alcuni medici sono sostenitori. E’ invece il titolo di un romanzo di Enrico Baraldi (che psichiatra è: lavora a Mantova come responsabile del Centro Psicosociale) che ha come protagonista un altro psichiatra, il quale per una volta non deve ripercorrere la vita degli altri ma la propria, visto che sta precipitando con la sua auto da un viadotto dopo avere sfondato il guard-rail e che i fotogrammi che gli scorrono davanti raccontano la storia della sua personale crisi esistenziale e professionale. Con lui, sono protagonisti del libro edito da Stampa Alternativa nella collana Eretica, non nuova a incursioni nel territorio di confine tra malattia e narrativa, due donne, un anziano e sovversivo dottore che predica la fratellanza terapeutica e l’abolizione dei farmaci, un perverso scienziato ostaggio dell’industria farmaceutica.

Il libro è un giallo in cui si parla di un misterioso omicidio. Ma anche un’evidente metafora di alcune irrisolte contraddizioni delle scienze della mente.

 

Marco Ferrazzoli

 

Enrico Baraldi, “Psicofarmaci agli Psichiatri” (Stampa Alternativa, 2007)

Battaglia contro il cancro in forma di fumetto


La memoria in forma grafica della malattia dell’autrice e delle emozioni che l’hanno accompagnata restituisce una vivida storia di coraggio e rinascita.

La diaristica dei malati, specialmente di cancro e specialmente coronata dall’happy end della guarigione, è un genere scientifico-letterario ormai diffuso, anche perché molto incentivato come ammonimento per le tantissime persone che debbono affrontare un tunnel analogo.

Quello che rende ‘Cancer Vixen’ del tutto originale, all’interno di tale genere, è la scelta del fumetto come mezzo espressivo, che non si limita all’aspetto stilistico ma dà a tutta la narrazione un tono opposto a quello di ottimismo buonistico che spesso informa questi libri, rendendoli un po’ ostentatamente esortativi.

Nel libro di Marisa Acocella Marchetto le strips aiutano il ritmo veloce, agile, in molte pagine divertente e in altre drammatico (il cancro, nelle sembianze della morte incappucciata, irrompe nella vita della protagonista alle soglie di un tardivo e felicissimo matrimonio), spesso poetico, grazie anche a citazioni di grande raffinatezza. Del disegno, poi, basti dire che l’autrice è un’illustratrice de ‘The New Yorker’ per comprenderne la qualità e anche il taglio molto ‘fotografico’, con evidenti richiami alla pop art.


Marco Ferrazzoli

Marisa Acocella Marchetto, “Cancer Vixen” (Salani, 2007)

Come diventare un malato di mente


La penna dell’autore dà vita ad un’ironica e al tempo stesso scientificamente rigorosa guida, per riflettere sul confine tra salute e malattia mentale.

l titolo è volutamente provocatorio: la malattia mentale – viene da obiettare – è un fato ineluttabile, una disgrazia cui non ci si può opporre, mai una scelta. Invece questo psichiatra di Coimbra, che in Portogallo ha pubblicato ben 12 edizioni del suo saggio, sostiene che fobie, schizofrenia, depressione, possono anche essere una deriva perseguita come “carriera”. Dietro l’ironia, si nasconde una verità ignota solo a chi non si è mai dovuto o voluto avvicinare ai margini di quella immensa palude che è la malattia mentale. Da un lato, atteggiamenti che consideriamo caratteriali e culturali, come l’essere comunisti, fascisti o democratici, timidi, gelosi o erotomani, coincidono almeno fenomenologicamente con alcuni stati di alterazione; dall’altro, i sintomi che diagnostichiamo in molte patologie sono presenti anche in persone “normali”, seppure in momenti particolari, e comunque possono essere da queste esternati volontariamente. Ma soprattutto, non è possibile stabilire tra sani e malati una relazione che abbia possibilità curative se non si accetta davvero lo stato problematico dei secondi. Un po’ come nel paradosso di tante scenette comiche, nelle quali il “matto” non può essere tale se ne ha coscienza, quindi proprio chi non si dichiara tale è più imputato di follia. Ma c’è poco da ridere, si tratta invece di temi su cui riflettere.


Marco Ferrazzoli


Josè Luìs Pio Abreu, “Come diventare un malato di mente” (Voland, 2002)

https://www.voland.it/libro/9788888700380