Il professore e il pazzo’: un incontro allo specchio

Il racconto di una doppia avventura intellettuale e personale straordinaria: quella di James Murray, direttore dell’Oxford English Dictionary, e del dottor William Chester Minor, tra i più prolifici collaboratori dell’Oed, internato in manicomio in quanto affetto da follia omicida. Assieme ai due, molti altri personaggi interessanti vissuti nella cornice di un’opera monumentale e fondamentale


È il racconto di un’avventura intellettuale e di una vicenda privata (doppia) straordinarie: quella del professor James Murray, direttore editoriale dell’Oxford English Dictionary (Oed), e quella del dottor William Chester Minor, uno dei più prolifici collaboratori del Dizionario con decine di migliaia di schede, oltre cento alla settimana. Il libro di Simon Winchester, divenuto non a caso il plot di un recente film, presenta poi non pochi altri elementi di attualità e interesse: evidenzia come tassonomia e storicizzazione dei lemmi siano tra i problemi metodologici fondamentali di qualunque impresa culturale; illustra il moderno approccio vittoriano verso la malattia mentale (“caratteristica mescolanza di severità e illuminismo”, la definisce l’autore); il cosiddetto Oed rappresenta un pionieristico esperimento di citizen science, considerazione che abbiamo già espresso sull’Almanacco riguardo ad alcuni divulgatori italiani dell’epoca; infine, entrambi i protagonisti sono capaci di incarnare al meglio lo spirito della libera ricerca e della curiosità intellettuale anche in quanto ‘non accademici’, un po’ come Marconi.

Il senso del libro sta soprattutto nell’incontro tra i due, nella scoperta che sconvolge Murray quando finalmente sta per incontrare il suo collaboratore: “Me ne rincresce signore ma non sono io. Non è affatto come pensate. In realtà io sono il direttore del manicomio criminale di Broadmoor. Il dottor Minor è qui senza dubbio. Ma è un detenuto. È ricoverato da più di vent’anni”. L’uomo che più aveva contribuito all’Oxford English Dictionary è un pazzo omicida, affetto da una follia esplosa a seguito dei traumi subiti come ufficiale medico nella Guerra di secessione, durante la quale fu tra l’altro costretto a marchiare a fuoco un irlandese disertore, ma dovuta probabilmente a tare genetiche, visto che due fratelli di Minor si sono suicidati. “Eppure, con la follia, venivano anche le parole”.
Peraltro, Minor non è l’unica persona con problemi mentali che collaborò al dizionario, considerando anche Fitzedward Hall e soprattutto Frederick Furnivall, il segretario della Philological Society. È anche grazie a queste persone geniali e stravaganti se, dopo un lavoro di decenni, vede la luce quest’opera monumentale – 414.825 lrmmi; 1.827.306 citazioni, sei milioni di schede restituite dai volontari, due tonnellate di materiale nel solo 1879 – e fondamentale: basti dire che Voltaire la propose ai francesi come modello di un loro dizionario e che, l’autore usa un esempio fulminante, Shakespeare “non poteva, come si dice in inglese, look up ‘cercare’ un termine”.
Di personaggi interessanti se ne incontrano insomma molti nel volume. Da Alexander Melville Bell, “padre dell’infinitamente più famoso Alexander Graham”, a Henry Sweet, cui Bernard Shaw si sarebbe ispirato per uno dei personaggi di Pigmalione; dal “Killer Pazzo”, che oggi occupa una delle stanze abitate da Minor a Broadmoor, a Ezra Pound e John Hinckley, l’uomo che tentò di assassinare il presidente Reagan, entrambi internati come Minor nella casa di cura St. Elizabeth a Washington; da Daniel Defoe a Jonathan Swift, i “fari della letteratura inglese” che avevano lamentato la mancanza di un dizionario come l’Oed (Swift, in particolare, era indignato per l’uso della forma “couldn’t” nella lingua scritta, dov’è oggi comunemente accettata). Fino a Winston Churchill, che come ministro dell’Interno firmò la scarcerazione condizionale di Minor.
Ma la ricchezza umana e intellettuale del “professore” e del “pazzo” è tale da lasciare poco spazio ai comprimari. Per quanto “di primo acchito” sembrino contrassegnati “più dalle differenze […] che dalle somiglianze”, i due sono davvero speculari e simili. Tant’è che dopo il loro incontro “entrambi avranno creduto per un momento di avvicinarsi a se stessi riflessi in uno specchio”, vista tra l’altro la loro “barba: in entrambi i casi bianca, lunga e a due punte, con folti baffi e basette”. Non c’è da meravigliarsi se ne nacque “un’amicizia lunga e salda” che rese Murray e consorte i due più infaticabili supporti per il povero Minor, che negli ultimi anni arrivò persino ad auto-evirarsi dopo un doloroso percorso di schizofrenia, paranoie, fobie e fissazioni (assieme, va detto, alla vedova della sua vittima, che dopo averlo conosciuto non fece mancare il proprio aiuto all’assassino del marito).
In parte la relazione tra i due è la “romantica e piacevole invenzione” di un giornalista americano, che fu la principale fonte sulla vicenda finché nel 1977 K. M. Elisabeth Murray mise mano alla biografia del nonno. Ora Winchester ha prodotto un’opera completa di cui l’ottima traduzione italiana edita da Adelphi consente di apprezzare anche lo stile letterario. L’autore si muove in quel territorio di confine tra romanzo e saggio che è la chiave di molta della migliore letteratura odierna, si pensi all”Imperatore del male’ o alla biografia di Hermann Rorschach, riuscendo a mantenere la minuzia documentale evitando la prolissità di alcuni saggisti anglo-americani: in questo, il libro ricorda la produzione di un grande critico come il nostro Pietro Citati.

Marco Ferrazzoli


Simon Winchester, “Il professore e il pazzo” (Adelphi, 2018)



Fonte: Almanacco CNR – Recensioni

Denise De Santana

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