Le parole per dirlo

Marie Cardinal scava nell’animo umano e porta in superficie le cause del suo malessere esistenziale e della sua inquietudine.

Fino a quel giorno, quando presi il coraggio a due mani per parlargli finalmente dell’allucinazione, e quando lui mi chiese dopo aver ascoltato la mia descrizione: “Tubo’, che cosa le fa venire in mente?” fino quel giorno non mi ero ancora avventurata a fondo nell’inconscio. Vi avevo fatto qualche puntatina a caso, quasi senza rendermene conto.

[…] Mi rendevo conto che ancora a trent’anni e passa, avevo paura di non piacere a mia madre. Allo stesso tempo mi rendevo conto che la botta tremenda che mi aveva dato raccontandomi il suo aborto mancato mi aveva procurato un profondo disgusto di me stessa: non potevo essere amata, non potevo piacere, non potevo che essere respinta. Per questo ogni separazione, ogni partenza, ogni contrattempo erano vissuto come altrettanti abbandoni. Bastava che perdessi la metropolitana per sentire la Cosa agitarsi dentro di me. Ero una fallita, e quindi era logico che fallissi in tutto.

Era tanto semplice! Come mai non c’ero arrivata da sola? Come mai non me n’ero servita ogni volta che mi sentivo male? Semplicemente perché finora non ne avevo parlato con nessuno.

[…] Era tanto semplice che stentavo a crederci. Eppure i fatti lo dimostravano: tutti i miei disturbi psicosomatici erano scomparsi: il sangue, l’impressione di diventare cieca e sorda. La distanza tra le crisi di angoscia aumentava, ormai mi capitavano solo due o tre volte alla settimana.

Nonostante ciò, non ero ancora normale. 

[…] In quel momento il dottore chiese:

“’Tubo’, che cosa le fa venire in mente?”

Queste parole mi diedero fastidio. Sapevo dove andava a parare: il pisellino di carta, l’uscita dalla pancia di mia madre. Non si trattava di qiesto. Se fosse stato così semplice ci sarei arrivata da sola. M0p venuto voglia di alzarmi e di tagliare la corda. Mi esasperava quel piccolo burattino muto, con la sua calma e la sua impassibilità da iniziati. 

“lei mi ricorda i preti. È uguale a loro. Lei è il gran sacerdote della religione del cazzo. È sempre lo stesso ritornello con voialtri. Mi fai schifo.

[…] “…tubo, mi fa pensare a un tubo. Un tubo è un tubo… tubo mi fa pensare a tubetto… a tunnel… tunnel mi fa pensare al treno… da bambina viaggiavo spesso. Passavamo le nostre estati in Francia e in Svizzera. Prendevamo la nave poi il treno. Sul treno avevo paura di far la pipì. Mia madre era fissata sull’igiene e vedeva microbi dappertutto…”

Divagavo, divagavo. La bambina è venuta a raggiungermi. Io ero la bambina, avevo tre o quattro anni.”

[…] Durante quelle settimane, o quei mesi, non ricordo più, ero ubriaca dal mattino alla sera, ubriaca di gioia, d’alcool, di salute, di notti insonni, di carezze sempre nuove, di cibi appetitosi. Passavo le mie giornate a divertirmi con questo straordinario giocattolo: il mio corpo.

[…] Ogni parola che faticavo a pronunciare nascondeva in realtà un territorio nel quale rifiutavo di entrare. Ogni parola che dicevo con piacere designava al contrario un territorio che mi piaceva.

[…] Mi sono allora resa conto che c’era tutta una parte del mio corpo che non avevo mai accettato, che in qualche modo non mi era mai appartenuta. Tutto quello che era collocato tra le mie gambe poteva essere indicato soltanto con parole vergognose e non era mai stato l’oggetto del mio pensiero cosciente. Nessuna parola conteneva il mio ano.

[…] Non parlavo mai dell’analisi perché mi rendevo conto che quell’argomento infastidiva la gente: “sono tutte balle. I pazzi si mandano in manicomio. Per il resto sono balle da donnette, froci o squilibrati.” A quel punto iniziava una vera pioggia di racconti del genere: “io (o Pietro, Paolo o Mariarosa) ho fatto una psicoanalisi. Ebbene, cara mia, mi ha completamente distrutto. Non me ne parlare. Mi ci sono voluti cinque anni per rimettermi in sesto!” dopo scoprivo che avevano visto un medico per due mesi, sei mesi o anche due anni. Qualcuno al quale avevano raccontato la loro vita, che li aveva ascoltati, dato dei consigli e infine gli aveva prescritto un tranquillante nuovo. Insomma, o non avevano fatto una vera analisi, o l’avevano abbandonata nel momento in cui diventava difficile.

Marie Cardinal

Scheda dell’editore

Marie Cardinal, “Le parole per dirlo” (1975)

Carmen Troiano

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