Padiglione cancro

Accettare una diagnosi di cancro è dura anche per Pàvel Nikolàevic, che si trova proprio nel padiglione cancro dell’ospedale di una città dell’Asia centrale.

Di fuori entrò un contadino che portava un barattolo da mezzo litro, con sopra un’etichetta, quasi pieno di un liquido giallo. E non cerca di nasconderlo, ma lo teneva alto dinnanzi a sé come un boccale di birra conquistato dopo una lunga coda. Proprio davanti a Pàvel Nikolàevic , quasi tendendogli quel suo barattolo, l’uomo si fermò per domandare qualcosa, ma poi vide il berretto di lontra e si rivolse a un ammalato con le stampelle, che era un po’ più in là:

“Ehi, amico! Dove si porta questo?”

L’uomo senza una gamba gli indicò la porta del laboratorio.

Pàvel Nikolàevic aveva la nausea.

“Ah, ecco un altro cancretto”.

Pàvel Nikolàevic non ritenne opportuno rispondere a tanta familiarità. Sentiva che tutta la stanza lo stava fissando, ma non aveva voglia di guardare a sua volta quella gente, con cui si trovava per caso, e tanto meno di salutarla. Fece solo un gesto in aria, come per dire al rosso di farsi da parte. Questi lasciò passare Pàvel Nikolàevic e di nuovo si volse, con tutto il corpo e quella sua testa inchiodata:

“Senti, fratello, che cancro hai, tu?”, domandò con voce roca.

Questa domanda colpì in pieno Pàvel Nikolàevic, che già era arrivato al suo letto. Alzò gli occhi sull’impudente, e, sforzandosi di non uscire dai gangheri (ma le sue spalle sussultarono), disse con dignità:

“Nessuno. Non è affatto cancro, il mio”.

Il rosso sbuffò e sentenziò per tutta la corsia:

“Ecco un idiota! E che l’avrebbero mandato qui, se non aveva il cancro?”

Solženicyn Aleksandr Isaevič 

Treccani Enciclopedia Online

Solženicyn Aleksandr Isaevič, Padiglione cancro (1966)

Carmen Troiano

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