Robert Walser, la costruzione dell’invisibilità

Nel suo ‘Verso il bianco’, lo psicologo e psicoterapeuta Paolo Miorandi racconta la vicenda umana e letteraria dello scrittore svizzero a partire dalla foto che ne ritrae il corpo esanime nella neve. Una morte che lo stesso Walser aveva anticipato alcuni decenni prima in un proprio romanzo. E che giunge dopo ventitré anni di ricovero in manicomio


Lo psicologo e psicoterapeuta Paolo Miorandi racconta nel suo ‘Verso il bianco’ la vicenda umana e letteraria di Robert Walser. Lo fa analizzando alcune foto, a partire da quella scattata dalla polizia che ritrae lo scrittore svizzero morto, riverso nella neve, a breve distanza dalle orme della sua ultima passeggiata (percorso che oggi fa parte del Robert Walser Pfad, sentiero letterario inaugurato nel 1986). La cosa incredibile è che alcuni decenni prima Walser aveva descritto questa stessa scena, con precisione quasi assoluta, nel suo ‘I fratelli Tanner’: il giovane Simon, protagonista del romanzo, “sale verso il monte, la neve scricchiola sotto la suola delle sue scarpe […] A metà della salita, Simon vede un uomo sdraiato sulla neve in mezzo al sentiero […] Il corpo è rigido e senza vita […] Simon riconosce l’uomo: è Sebastian, il poeta […] Un riposo splendido – continua Simon rivolgendosi al poeta sdraiato nella luce bianca – questo giacere e irrigidirsi sotto i rami degli abeti nella neve. È il meglio che tu potessi fare”.

La morte che Walser aveva in qualche modo vaticinato giunge dopo ventitré anni di ricovero nel manicomio di Herisau, dove lo scrittore è stato condotto dalla maggiore delle due sorelle, Lisa, che si dichiara impossibilitata ad accudirlo e che è impaurita da certi comportamenti sessuali del fratello. Robert la ricambierà rifiutandosi di incontrarla quando lei, gravemente malata, esprimerà il desiderio di vederlo. A completare lo scenario della disgraziata famiglia, il fratello Ernest, anch’egli internato e morto in manicomio per dementia praecox: finito “dalla parte in cui non c’è più il sole”, scrive Robert. Se si aggiunge che “probabilmente Walser è morto vergine” a causa “di una forma nervosa di impotenza”, coltivando – come il suo collega Gottfried Keller, anima che sente particolarmente affine – la convinzione che “la favola del corteggiamento è sempre la stessa: comincia soave e piacevole e finisce penosamente”, il quadro di un’assoluta desolazione sentimentale ed emotiva è completo.
Ma l’internamento e la scomparsa di Walser si inquadrano in qualche modo anche in quella Svizzera che la scrittrice Fleur Jaeggy ha definito “un’arcadia della malattia”, dove “qualcosa di malato e torbido” si agita “dietro ai giardini curati e alle finestre dai davanzali perennemente fioriti”. Il libro è il resoconto di una sorta di pellegrinaggio che Miorandi conduce a Herisau e nei luoghi walseriani, attratto dalla capacità dello scrittore di “trasformare la sconfitta in qualcosa che non so nominare ma che ha il chiarore di una disarmante conclusiva bellezza”. Pur essendo un paziente calmo, Walser in manicomio rifiuta qualunque privilegio e, in particolare, l’opportunità che gli viene offerta di scrivere, dicendo di trovarsi lì “per fare il matto”. Al giovane medico che se lo prende a cuore, risponde: “In clinica ho quel che mi occorre, la pace”. Una pace “semplice e ben scandita” da ritmi lenti e regolari in cui si alternano la sveglia, il lavoro, i pasti, il riposo. “A Herisau lavora alla costruzione della propria invisibilità” e di questa silente sofferenza restano solo “i microgrammi”, cioè “cinquecentoventisei piccoli fogli contenuti in una scatola da scarpe” e scritti in una grafia minutissima, quasi illeggibile.
“Walter Benjamin ha scritto che le storie di Walser iniziano laddove terminano le fiabe”, ricorda Miorandi: “Il lampo di inquietante felicità che ci trasmettono è dovuto al fatto che sono guariti e poco importa che si tratti di una guarigione temporanea e che in ogni momento possano precipitare nuovamente nella follia”.

Marco Ferrazzoli


Paolo Miorandi, “Verso il bianco” (Exorma, 2019)



Fonte: Almanacco CNR – Recensioni

Denise De Santana

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