L’anziana Antonida Vasil’evna, in compagnia del protagonista del romanzo, Aleksej Ivànovic, si dedica con fervore al gioco d’azzardo. Dostoevskij descrive in queste pagine memorabili la lenta, progressiva ed inarrestabile metamorfosi dalla curiosità alla ludopatia dell’anziana signora.
La nonna si gettò senz’altro sullo zéro e subito mi ordinò di puntare dodici federici per volta. Puntammo una volta, una seconda, una terza, lo zéro non usciva. «Punta, punta!» mi urtava la nonna impaziente. Io obbedivo.
«Quante volte abbiamo perduto?» ella domandò infine digrignando i denti dall’impazienza.
«Abbiamo già puntato dodici volte, nonna. Abbiamo perduto centoquarantaquattro federici. Ve lo dico, nonna, fino a stasera magari…»
«Taci!» interruppe la nonna. «Punta sullo zéro e punta subito sul rosso mille fiorini. To’, ecco un biglietto.»
Uscì il rosso e lo zéro fece nuovamente cilecca, ci restituirono mille fiorini.
«Vedi, vedi!» sussurrava la nonna «ci han restituito quasi tutto quel che avevamo perduto. Punta di nuovo sullo zéro; punteremo ancora una decina di volte, poi smetteremo.»
Ma alla quinta volta la nonna fu stufa.
«Manda al diavolo questo ignobile zeruccio. To’, punta quattromila fiorini, tutti sul rosso» ordinò.
«Nonna! È molto; e se il rosso non uscisse!» supplicavo; ma la nonna per poco non mi batté. (E del resto tanto mi urtava che quasi si può dire mi picchiasse.) Non c’era che fare, puntai sul rosso tutti i quattromila fiorini vinti poc’anzi. La ruota si mise a girare. La nonna, raddrizzata la persona, stava a sedere calma e orgogliosa, non dubitando della immancabile vincita.
«Zéro» annunciò il croupier.
Sulle prime la nonna non capì, ma quando vide il croupier rastrellare i suoi quattromila fiorini, insieme con tutto quel che c’era sul tavolo, e seppe che lo zéro, che da tanto tempo non usciva e sul quale avevamo perduto quasi duecento federici era balzato fuori, come a farlo apposta, quando la nonna lo aveva appena ingiuriato e abbandonato, mandò un «ah!» e batté insieme le mani da farsi udire in tutta la sala. In giro si rise perfino.«Padri miei! Proprio adesso è saltato fuori il maledetto!» urlava la nonna «ve’, che dannato, che dannato! La colpa è tua! Tutta la colpa è tua!» si scagliò furiosamente contro di me dandomi spintoni. «Sei stato tu a dissuadermi.»
«Nonna, io vi ho detto cose giuste, come posso io rispondere di tutte le probabilità?»
Te le darò io le probabilità!» sussurrava lei minacciosa «vattene, lontano da me.»
«Addio, nonna» e mi voltai per andar via.
«Aleksej Ivanovič, Aleksej Ivanovič, rimani! Dove vai? Be’, perché, perché? Ve’, si è arrabbiato! Scemo! Via, rimani, rimani ancora, via, non adirarti, sono io stessa una scema! Su, dimmi, su, che fare adesso?»
«Io, nonna, non mi prendo la briga di suggerirvi, perché poi incolpereste me. Giocate da voi sola; ordinate, io punterò.»
«Via, via! Su, punta ancora quattromila fiorini sul rosso! Ecco il portafogli, prendi.» Cavò di tasca il portafogli e me lo porse. «Su, prendili in fretta, qui ci sono ventimila rubli in contanti.»
«Nonna» balbettai «tali puntate…»
«Voglio piuttosto morire, ma mi rifarò. Metti!» Puntammo e perdemmo.
Fëdor Dostoevskij
Fonte: Fëdor Dostoevskij, Il Giocatore, traduzione di Alfredo Polledro, Mondadori, 2016