La pecora nera
Attraverso il protagonista Nicola, l’autore fa rivivere le memorie dei manicomi, tra pianto e risate, luci ed ombre.
Ascanio Celestini è, con Marco Paolini e Duccio Camerini, uno degli affabulatori più efficaci del nostro teatro. La sua grande capacità narrativa poggia su un uso ‘gaddiano’ del romanesco, che accentua la immediatezza del racconto senza ridurlo in termini localistici, e un tono apparentemente svagato e sopra le righe.
Una caratteristica comune a questi attori, peraltro, è proprio il porsi come personaggi ai confini, border-line, voci di un’umanità marginale che, altrimenti, verrebbe ridotta al silenzio.
L’intento diviene particolarmente evidente con questo ‘La pecora nera’, un percorso creativo dentro la malattia mentale in cui Celestini ha voluto fare da cicerone mediante il protagonista Nicola e il suo doppio, tra le illuminazioni e le confusioni di un percorso scavato nel buio. Attraverso le testimonianze e le memorie di infermieri, medici e pazienti, l’autore spiega non solo che l’istituzione manicomiale è di fatto ancora attiva, ma soprattutto che le parole e le paure dei ‘matti’ sono ben vive dentro ognuno.
Le storie raccontate in questo libro hanno il proposito di commuovere e divertire, senza remore nello sfruttare l’appeal comico della follia, che qualcuno ritiene erroneamente politicamente scorretto, mentre invece, da sempre, la risata è uno dei ponti possibili per instaurare il dialogo tra i mondi della ‘normalità’ e della malattia mentale.
Marco Ferrazzoli
Ascanio Celestini, “La pecora nera” (Einaudi editore, 2006)
By Francesca Blasi
- 26, Lug, 2022
- 0 Comments