Giuda – Il tumore di una diciottenne

Affidare alla scrittura il racconto di un percorso di malattia è un’esperienza sempre più diffusa e frequente. Nel caso di “Giuda” (Edizioni della Meridiana), all’autrice, giovanissima, viene diagnosticato un raro linfoma. Il diario, spiega, “serviva a me, al mio bisogno di fare sapere al mondo che avevo un cancro”


Marina Massone ha solo 18 anni quando le viene diagnosticato un raro tumore maligno del sangue, un linfoma T gamma delta, patologia che colpisce più frequentemente il genere maschile in età superiore ai sessant’anni, con solo il 10% di probabilità di sopravvivenza.
Fino a quel momento, la sua vita è quella di una ragazza solare e sportiva, pattinatrice su ghiaccio a ottimi livelli, nata e cresciuta ad Aosta tra famiglia e amici, diplomata in Canada per poi intraprendere un percorso di studi internazionali presso un ateneo olandese. Poi, dopo una serie di inspiegabili febbri e una crescente anemia, l’incontro con “Giuda” – così lei battezza la malattia – e l’inizio di una nuova realtà fatta di ospedali, esami, chemioterapia, fino al trapianto di midollo da parte del fratello Federico, operazione che la salverà.
Un percorso in cui Marina utilizza la scrittura come mezzo per mantenere un equilibrio e una direzione: “Scrivere è stato meglio di una seduta dallo psicologo, di un bicchiere di vino, di una corsa all’aria aperta. Ho scritto per digerire le informazioni che ricevevo, capirle, rielaborarle e farle mie. Ho scritto per prendere distanza da quello che mi capitava e vedere come il personaggio che avevo creato – che ero in realtà io stessa – trovava sempre un modo per andare avanti. Così mi si disegnava davanti agli occhi la strada da seguire e riuscivo a vivere un presente intenso come mai prima”.
Nel libro si piange e si ride: Marina racconta la sua storia senza filtri, guardandosi dentro lucidamente, alternando la disperazione alla consolazione, abissi di malessere e slanci di ritrovata energia, fiducia – nei medici ma anche nella sua “capacità di farcela”- rabbia e pensieri “da grande“, come la consapevolezza di non poter avere figli, fino alla serenità ritrovata nelle piccole cose, come il semplice ricominciare a fare ginnastica all’aria aperta dopo quattro cicli di terapia.
La decisione di rendere pubbliche le sue pagine arriva solo dopo il centesimo giorno dal trapianto di midollo osseo, data che segna il superamento del rischio di andare incontro a gravi complicazioni dopo l’operazione e, quindi, simbolicamente, la guarigione. In questo lungo percorso, il diario – nato “egoista”- (“serviva a me, al mio bisogno di fare sapere al mondo che avevo un cancro”), diventa una testimonianza di altruismo e uno strumento di sensibilizzazione al tema della donazione del midollo osseo. “È un’operazione sicura e non invasiva, nel nostro Paese esiste un Registro dei donatori: più persone sono iscritte, maggiori possibilità si avranno di trovare un donatore compatibile con il paziente che ha bisogno del trapianto”.
Nelle ultime pagine, Marina si congeda da Giuda con una lettera dalla quale traspare tutta la forza dei suoi 22 anni: “Non ho cambiato il mio approccio alla vita, come spesso si pensa che possa accadere dopo una malattia: io amavo la vita prima di Giuda, l’ho amata durante e la amo anche adesso”.

F.G.


Marina Massone, “Giuda”, Edizioni della Meridiana (2021)


Fonte: Almanacco CNR – Recensioni

Denise De Santana

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *