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Henrietta Lacks, questione di cellule

Nella sua ‘Vita immortale’, Rebecca Skloot racconta le vicende straordinarie dell’afroamericana che, ammalatasi di cancro, regalò inconsapevolmente alla scienza le cellule ‘immortali’ ancora oggi utilizzate nella ricerca su molte malattie


Unisce il meglio di diversi generi letterari, come accade sempre più frequentemente nelle opere recenti di maggiore successo, questa ‘Vita immortale di Henrietta Lacks’. Rebecca Skloot vi ha dedicato l’impegno di una biografa appassionata, rendendo la vita della protagonista con uno stile narrativo avvincente ma che non fa alcuno sconto, anzi, agli aspetti scientifici della vicenda.
Henrietta Lacks è una donna di colore vissuta negli Stati Uniti degli anni ’40 tra razzismo esplicito, infedeltà coniugali, gelosie immotivate e una fede fortissima. Avvenente, quasi analfabeta, passa la sua breve esistenza tra le piantagioni di tabacco di Baltimora, quasi a rammentarle le origini di schiavitù che la segnano.
La sua storia sarebbe già di per sé umanamente ricca e interessante, ma a renderla straordinaria è purtroppo l’esito post mortem. Henrietta si ammala di cancro della cervice uterina a poco più di 30 anni e viene curata in modo approssimativo, a causa delle conoscenze mediche ancora imperfette e dei molti pregiudizi vigenti contro le donne e gli afroamericani: una mancanza di rispetto che porta i sanitari a utilizzare un campione delle sue cellule per verificare un’ipotesi sulla proliferazione tumorale, senza preoccuparsi più di tanto di chiedere il consenso alla donna.
Accade a questo punto qualcosa di straordinario: per la prima volta, le cellule cominciano a riprodursi senza più morire, all’infinito, eternamente, dischiudendo alla ricerca scientifica possibilità fino ad allora precluse. Queste cellule vengono battezzate come HeLa, dalle iniziali della donna, e questo sarà l’unico riconoscimento che lei e la sua famiglia otterranno, nonostante l’enorme importanza, anche economica, della scoperta di cui Henrietta è stata l’inconsapevole protagonista.
Questo, per lo meno, fino agli anni 2000, quando un’altra donna bianca, ebrea e di buona famiglia, dunque – come lei stessa spiega nel libro – quanto di più distante dalla Lacks si possa immaginare, non resta prima incuriosita dalla mancanza di informazioni su questa persona vissuta sessant’anni prima, poi folgorata dalle notizie di cui viene man mano a conoscenza. La storia dell’indagine condotta da Rebecca Skloot si incrocia con quella della sua eroina e l’incontro-scontro tra due culture così lontane come quella dell’autrice e della famiglia Lacks è un altro elemento di grande interesse del libro.
La biografia, insomma, è prima di tutto un risarcimento a Henrietta e agli esseri umani che fanno la storia ma non la scrivono, cadendo così nell’oblio. E poi è una finestra aperta su uno dei maggiori progressi conseguiti dalla ricerca scientifica del ‘900, base delle ricerche sul cancro, sul Parkinson, sul Dna: anche questi risultati scientifici spesso restano sconosciuti alla stragrande maggioranza di noi, nonostante l’enorme incidenza che hanno nella nostra vita. Anche all’autrice di questo libro, del resto, era ignota l’origine delle cellule HeLa, finché non le è capitato di imbattervisi da studentessa, chiedendosi da dove venisse quell’acronimo curioso.

Marco Ferrazzoli


Rebecca Skloot, “La vita immortale di Henrietta Lacks”, Adelphi (2011)



Fonte: Almanacco CNR – Recensioni

Denise De Santana

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