Gert Hofmann – La parabola dei ciechi

A circa quattrocento anni  dall’omonimo dipinto di Bruegel, Gert Hofmann decise di narrare il quadro, raccontando l’umanità dei personaggi, sull’ipotesi che  si possa spiegare un’immagine a partire dalla prospettiva di un gruppo di sei persone cieche.

 

I sei mendicanti ciechi che devono fare da “modelli” a Bruegel per il quadro eponimo del libro affrontano il viaggio per recarsi dal pittore dove si fermano a posare. Lo stile è una curiosa prima persona plurale, che accentua il carattere straniato, precario, incerto, l’immobilità e la vaghezza del romanzo. Probabilmente influenza teatrale brechtiana (e anche Beckett) ma soprattutto sensazione di cecità narrativa, per così dire. Sono un soldato, un ladro, un credente, un ipovedente, Ripolus, che li guida. Tra l’altro si affidano a un bambino, affrontano lo scherno, mangiano, fanno i propri bisogni.

Si parte dal proverbio “Quando un uomo cieco ne guida un altro, ambedue cadranno nella fossa” portando la situazione all’estremo

“Forse sembriamo una famiglia, ma non lo siamo. Un giorno siamo sbucati, uno dopo l’altro, fuori dal bosco, e poiché nessuno aveva in mente qualcosa di preciso, abbiamo proseguito insieme, questo è quanto è successo. Da allora la gente pensa che siamo un tutt’uno.”

il gruppo diviene un individuo unico, indistinguibile e perso

“E abbiamo la sensazione che qui, dove noi adesso urliamo e dove deve esserci anche lo stagno, abbia fine una regione del mondo, si trasformi in un’altra. E su questo confine stiamo noi, rivolti verso l’altra regione, e dentro questo paesaggio immaginato da tutti noi insieme e separatamente urliamo con le bocche spalancate, che tutti coloro che hanno occhi per vedere possono studiare su di noi.”

M. Ferrazzoli

 

Gert Hoffman

La parabola dei ciechi

Editore Racconti, collana Gli scarafaggi

 

Link: https://culturificio.org/la-parabola-dei-ciechi-di-gert-hofmann/

Chiara Vieceli

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