“Ecco che cos’è l’uomo: l’animale che dimentica”

Alla vigilia della nuova edizione dell’Alzheimer Fest, «la Lettura» anticipa le riflessioni di una filosofa e di una classicista sul significato dell’oblio e dell’aiuto verso chi precipita nell’oblio

Nel febbraio di 2022 muore a Münster in Westialia Harald Weinrich, linguista, filologo, letterato. […] Questo settembre avrebbe compiuto 95 anni. […] Giovanissimo prigioniero di guerra in Francia, […]

Harald Weinrich soffrì negli ultimi anni del morbo dl Alzhehner, la terribile malattia che porta l’oblio. Ne fu colpito proprio lui che sull’oblio aveva scritto un saggio magnifico: “Lete. Arte e critica dell’oblio” (1997), dietro il quale si cela una storia di cultura e di amicizia.


Annie Ernaux – Non sono più uscita dalla mia notte

 

Cosa accade quando i propri genitori iniziano una fase di declino attraverso la perdita del sé e degli altri in malattie in cui ci si perde, com l’Alzhaimer? Questa descrizione del viaggio nelle ultime fasi della vita della madre ci conduce attraverso le fasi di dolore e disperazione di una figlia.

 

Appunti, poche righe, sensazioni ed emozioni annotate velocemente, tracciano questo diario del dolore. Una figlia guarda la madre lentamente spegnersi, osserva i suoi gesti inconsapevoli, ascolta le sue frasi senza logica, soffre per il totale abbrutimento del suo corpo, per la sua perdita di dignità legata allo smarrimento della coscienza. Il morbo di Alzheimer è una malattia che colpisce la mente, la distrugge un po’ alla volta, cancella la persona. Per una figlia però la vita della madre è qualcosa di più della presenza di una persona amata: è il mantenere in vita un poco della propria infanzia, della memoria di anni e di sentimenti lontani nel tempo. Anche il dolore cocente nel vedere il lento annullarsi, che con gli anni si fa sempre più rapido, della coscienza della donna, ha momenti di profonda tenerezza che possono essere suscitati da una piega delle labbra o da un richiamo inaspettatamente cosciente.
Rimorsi, sensazioni di inadempienze, ricordi di paure infantili, sentimenti contraddittori che colgono la Ernaux all’improvviso, ma rimane sempre e comunque un pensiero: il bisogno che la madre sia viva. Quando infatti questa tenera e tragica malata muore, alla figlia rimane un terribile senso di vuoto, le mancherà a lungo il coraggio di riprendere in mano gli appunti scritti di ritorno da ogni visita all’ospedale, ma nello stesso tempo è solo a lei che riesce a pensare, sa parlare solo di lei, ridà vita, grazie al gioco della memoria, ad immagini della sua giovinezza… “quando avevo sei o sette anni la chiamavo Vanné”.

 

Non sono più uscita dalla mia notte di Annie Ernaux
Titolo originale dell’opera: Je ne suis pas sortie de ma nuit

Traduzione di Orietta Orel
Pag. 111, Lit. 18.000 – Edizioni Rizzoli (La Scala)
ISBN 88-17-67085-5

 

Link: https://www.wuz.it/archivio/cafeletterario.it/043/cafenov.htm

Quando l’Alzheimer diventa poesia


Il toccante atto d’amore del poeta Alberto Bertoni verso il padre malato, in una raccolta poetica che dà voce anche ai familiari ed alle loro “umanissime reazioni”.

 

Docente di Letteratura a Bologna, critico, curatore di antologie poetiche, Alberto Bertoni ci consegna un libro che colpisce per la traduzione di un serio problema familiare e personale in versi di grande asciuttezza, quasi “clinici”. “Ricordi di Alzheimer” – titolo ossimorico o almeno fortemente provocatorio, considerato come questa patologia colpisca a fondo, tra varie facoltà cognitive, quelle mnemoniche – racconta il rapporto dell’autore con il padre malato: affettuoso, amorevole, nostalgico, ma tutt’altro che immune dalle umanissime reazioni che la terribile patologia induce nei parenti che accudiscono chi ne viene colpito.

‘E’ noto che l’Alzheimer tende a distruggere la vita non solo dei pazienti ma anche dei loro familiari: io non ho fatto eccezione’, scrive sinceramente l’autore nell’introduzione. Mentre, nelle poesie, leggiamo un accorato: ‘Papà, non sopporto / le tue sofferenze / Le tue depressioni improvvise, il terrore / quotidiano di morire’. E ancora: ‘Oggi non sopporto mio padre / Voglio che il cane dietro l’inferriata / gli morda la mano gliela inghiotta’. Nei versi c’è spazio anche per quel tocco d’amara ironia con il quale, talvolta, si prova ad alleggerire la dolorosa fatica di assistere un parente non più in sé: ‘Con le nuove targhe / non si raccapezza più mio padre / tutto un Arezzo, Avellino, Campobasso / così domanda se in blocco i modenesi / oggi vanno a piedi’.

La storia termina con la scomparsa del genitore e con un dolore nella cui descrizione potrà riconoscersi chiunque ci sia passato attraverso: ‘Mi sembrava un attimo fa / ed invece era già / nel millennio passato / l’ultima volta che abbiamo parlato… / Oggi non c’è il babbo? / chiede il cameriere grasso / e non sa cos’avrei pagato / per trascinarti a pranzo’.

Le poesie sono molto belle: anche quelle in dialetto e quelle dedicate a un curioso episodio occorso all’autore, una molto kafkiana larva di insetto sottocutanea, ‘partorita’ dal polso. E “Ricordi di Alzheimer” è un libro importante poiché, esprimendo senza far ricorso all’enfasi alcuni sentimenti fondamentali dell’animo umano, come la tenerezza, dimostra come la poesia possa essere la modalità espressiva privilegiata per “oggettività”, proprio in quegli ambiti esistenziali che oggi vengono invasi irriguardosamente dalla pateticità di altri mezzi, quali il giornalismo.

 

Marco Ferrazzoli


Alberto Bertoni, “Ricordi di Alzheimer” (Book Editore, 2008)