“Se il bello può curare lo stress”

Ansia e depressione? Lo psichiatra prescrive una visita al museo. A Bruxelles l’insolito esperimento voluto dall’assessora alla Cultura. I medici possono curare i pazienti con ricette per gite gratuite nei luoghi d’arte

Dopo mesi di sperimentazione, da una settimana tra le terapie che possono essere prescritte dagli psichiatri degli ospedali di Bruxelles contro depressione, ansia, disturbi dello spettro autistico, psicosi, disturbo bipolare, esaurimento ci sono anche le “ricette museali”, vale a dire visite gratutite con amici o familiari alla scoperta della Maison du Roi, del museo della Moda e del Merletto, del Centrale d’arte contemporanea, e (degustubus) del Museo delle fogne. Secondo l’Observer l’iniziativa è dell’assessora alla cultura di Bruxelles Delphine Houba che – sulla scia dei medici di Montréal che già nel 2018 prescrivevano ai pazienti depressi o diabetici visite al Musée des Beaux-Arts – ha voluto varare per prima il progetto in Europa.

«L’obiettivo numero uno è ripopolare i musei dopo il lockdown», ha detto all’Observer: «Voglio che tutti tornino nelle nostre istituzioni culturali, anche coloro che – pure prima del Covid – erano intimoriti fin solo dall’idea di entrare in un museo».

“L’arte profonda dell’errore”

La sezione arte e neuropsichiatria del quotidiano L’Osservatore Romano intervista l’artista visivo Luca Santiago Mora riguardo il suo esperimento psico-artistico, chiamato L’Atelier dell’Errore (AdE), in collaborazione con bambini e ragazzi

Andare oltre l’idea comune di normalità per progettare un futuro diverso aperto a narrazioni fuori dall’ordinario, ma proprio per questo potenti. Era il 2002, vent’anni fa, quando l’artista visivo Luca Santiago Mora decideva di creare l’Atelier dell’Errore (AdE), un esperimento controcorrente insieme ai bambini e ragazzi della neuropsichiatria infantile dell’Azienda Ospedaliera di Reggio Emilia e Bergamo. L’AdE è uno spazio libero, non gravato da preconcetti e aspettative, dove ognuno ha la possibilità di raccontare sé stesso e il suo mondo interiore attraverso il gesto più semplice, il disegno. Abbiamo chiesto a Santiago Mora di raccontarci questa esperienza, che dal 2015 si è evoluta diventando uno collettivo artistico ospitato permanentemente dalla Collezione Maramotti di Reggio Emilia.
[…]

La Tv, da “Malattie imbarazzanti” a “Ballando con le stelle”

La televisione offre spesso un atteggiamento contraddittorio nell’affrontare il rapporto tra normodotati e disabili: lo analizza un capitolo del saggio “Il Superdisabile. Analisi di uno stereotipo.”

Anche la televisione è un medium contrassegnato da un atteggiamento ambiguo, che riflette quello del rapporto tra “normodotati” e disabilità. Prendiamo il docu-reality Malattie imbarazzanti: il format inglese in cui un’equipe di medici cerca di aiutare persone con patologie rare, si basa su scene di vita reale o riprese in modo da apparire tali.

I medici raccolgono anche le opinioni della popolazione, facendone emergere la disinformazione, la paura, il pregiudizio. Il successo del programma, vincitore di due premi BAFTA (British Academy of Film and Television Arts), ha portato alla produzione di spin-off come Embarrassing Fat Bodies e Embarrassing Teenage Bodies.

Lo Show dei record è andato in onda dal 2006 su Canale 5 e TV8, salvo interruzione della nuova edizione per via della pandemia. Nel programma dedicato ai più famosi primati censiti nel “Guinness dei primati”, pubblicato dal 1955 e tradotto in venti lingue, hanno trovato spazio made freak come Charlotte Guttenberg, che con il 91,5% del corpo coperto è la donna anziana più tatuata al mondo, e Lizardman (l’uomo lucertola), al secolo Erik Sprague: per ottenere l’aspetto che lo contraddistingue si è sottoposto a circa 700 ore di sedute di tatuaggi, a cui vanno aggiunti i corni in teflon, le modifiche ai denti e l’operazione per rendere la lingua biforcuta come quella dei rettili. Lo stesso Sprague scrive: “Ho deciso di fare della mia diversità un mestiere. Ho lavorato molto per diventare un’attrazione speciale. Mi sentivo un freak anche quando indossavo abiti normali ma prima di trasformarmi la gente non poteva sapere che ero così speciale, adesso basta un’occhiata per capire che sono una persona unica. Quando la gente dal panettiere vede l’uomo lucertola mi piace pensare che questo li scuota dalla monotonia, questo piccolo
tocco di surreale può scuoterli un attimo, restituire loro quel senso di stupore simile a quello che si prova da bambini”.

Come afferma Dick Zigun, fondatore e direttore artistico del Coney Island Circus Sideshow, la spettacolarizzazione della diversità oggi spesso risponde all’esigenza di rimarcare la propria unicità: «Sono le persone che desiderano sentirsi diverse, visibilmente diverse da tutte le altre. In questa società che tende all’omologazione, essere finalmente unici è un obiettivo».

In alcuni casi sono le stesse persone con disabilità reali a voler stupire grazie ai propri record. L’italo-albanese Haki Doku, 49enne paraplegico, ha iscritto il suo nome nel libro in due categorie: il percorso
più lungo compiuto spingendosi su una carrozzina per dodici ore consecutive e il maggior numero di gradini effettuati in discesa in un’ora.

Il programma forse più significativo è però Ballando con le stelle, condotto su Rai Uno da Milly Carlucci e Paolo Belli, importato dal format Strictly Dancing andato in onda per la prima volta su BBC One, in Gran
Bretagna.

Dopo le prime edizioni, gli autori hanno deciso di introdurre nel cast persone con disabilità. La prima è Giusy Versace nel 2014, seguita da Nicole Orlando nel 2016, Oney Tapia nel 2017 e l’ex modella sfigurata con l’acido Gessica Notaro nel 2018. Questa scelta è adottata anche in altri Paesi: nel 2008, all’omonimo programma Usa Dancing with the Stars, ha concorso l’attrice sordomuta premio Oscar Marlee Matlin e, nel 2014, Amy Purdy, una snowboarder paralimpica con protesi in titanio. Due anni dopo, vince la 22° edizione Nyle Di Marco, modello e attore sordo. Nel 2020 al Norwegian Dancing With the Stars ha partecipato per la prima volta una concorrente in carrozzina: Birgit Skarstein, campionessa paralimpica di canottaggio e scii. L’originale inglese ha ospitato nel 2017 Jonnie Peacock, corridore amputato che aveva strappato a Pistorius l’oro nei 100 metri alle Paralimpiadi di Londra, e Lauren Steadman, nata con il braccio destro incompleto e vincitrice di una medaglia d’argento nel paratriathlon a Rio.

In Italia, la trasmissione ha acceso i riflettori anche su altre diversità e fragilità, come l’obesità di Platinette, concorrente nel 2016, e il tumore della presidente di giuria Carolyn Smith: nel momento in cui si è tolta il turbante mostrandosi senza capelli, l’ovazione del pubblico è stata inevitabile. In totale, tra concorrenti, giurati e ospiti, dal 2012 al 2019 almeno una dozzina di personaggi con disabilità di generi diversi sono apparsi in trasmissione.

Alcuni giudizi sono positivi senza riserve. Secondo una recensione de “La Stampa”, Ballando con le Stelle sta dimostrando la capacità di affrontare tematiche scottanti riguardo la malattia, la disabilità ed i problemi sociali;

[…] Dopo la fantastica Giusy Versace, che ha vinto l’edizione 2014, quest’anno tra i partecipanti c’è anche l’atleta paralimpica Nicole Orlando e con lei la condizione della sindrome di Down è diventata finalmente visibile in modo positivo e vitale, come ci aspettavamo. Nella giuria, invece, la bella e sensibile Carolyn Smith è presente senza nascondere di essere alle prese con la chemioterapia. La simpatica Platinette, a suo modo, ha fatto sentire meno sole le persone insovrap peso parlando della sua operazione gastrica e degli sforzi per seguire un’alimentazione sana. Insomma, mi verrebbe da dire in maniera un po’ infantile ed entusiastica “Viva Ballando con le Stelle!”, sperando che l’impegno nei confronti della disabilità e dell’inclusione sociale venga seguito anche da altre trasmissioni televisive.

Altre valutazioni sono ovviamente più perplesse. Come abbiamo già detto, è difficile mettere sulla bilancia vantaggi e svantaggi di simili scelte mediatiche, ma certamente il dibattito in merito è preferibile alla disattenzione verso le disabilità, che in passato connotava spesso il mainstream. Certo è doveroso riflettere sulla qualità dei messaggi, puntare a una comunicazione che non sia meramente inclusiva, ma anche innovativa. E comunque l’enfasi della competizione può legittimamente essere giudicata eccessiva, ma rende il protagonista disabile soggetto alla stessa dinamica competitiva degli altri personaggi.

Il discorso potrebbe poi essere allargato ad altre competizioni nelle quali l’assegnazione della vittoria sembra condizionata dalla “diversità”, più che dai meriti. La scozzese Susan Magdalane Boyle, che conquista il secondo posto e raggiunge la fama internazionale nella trasmissione Britain’s Got Talent, ha difficoltà di apprendimento e di socializzazione dovute a un’asfissia neonatale. In Italia, il balbuziente Edson D’Alessandro vince Tu sì que vales. Il transgender austriaco Thomas Neuwirth, conosciuto con lo pseudonimo di Conchita Wurst, conquista l’Eurovision 2014sul cui palco si presenta come “donna barbuta”.

Sentenze “politicamente corrette”? Diversità sfruttate come investimento in termini di audience e
risonanza mediatica, anziché come costo sociale, quali sono generalmente considerate?

Quesiti evidentemente irrisolvibili.

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Anche al Festival di Sanremo, vetrina mediatica senza pari nel mercato musicale e di costume italiano, i numeri non mancano. Negli ultimi 10anni c’è stato sempre almeno un concorrente o un ospite con disabilità,da Simona Atzori a Bocelli e Bosso. Di fronte alla continuità dell’innovazione impressa dai media, polemiche ed eventuali errori possono essere tutto sommato accettati.

Durante l’edizione 2021 è stato invitato a Sanremo Donato Grande, campione di powerchair football (calcio su sedia a rotelle) assieme a Zlatan Ibrahimovic. Claudio Arrigoni si è sul “Corriere della sera” ha acceso un dibattito attorno al diverso trattamento riservato dal conduttore Amadeus ai due sportivi:
Chiariamo: è stato importante che quell’intervento ci sia stato e Donato fosse presente. Una grande occasione per mostrare che lo sport può essere praticato in qualunque condizione. […] L’analisi però non deve e non può fermarsi qui. Perché non è accettabile che un professionista della comunicazione come Amadeus utilizzi ancora termini come “portatore di handicap” o espressioni come “soffre di disabilità” davanti a milioni di persone. O che legga quattro frasi su non parcheggiare senza permesso sui posteggi
dedicati a chi ha una disabilità, usando quella distanza fra “noi” e “loro”, i “fortunati” che non ne hanno bisogno e i “poverini” che li devono usare. È apparso, ma questa è magari solo un’impressione, che Ibra fosse il campione e Grande un suo tifoso, mentre su quel palco i campioni erano due e sarebbe stato bello far percepire meglio questo aspetto.

Dalla 70esima edizione la kermesse canora ha però impresso davvero una svolta inclusiva. Come accennato prima, per la prima volta le cinque le serate sono state interamente trasmesse in Lis su un canale dedicato di RaiPlay e tutti i brani sono stati interpretati in Lis da 15 performer selezionati da Rai Casting. Per le persone cieche e ipovedenti è stata messa adisposizione un’audio-descrizione. L’impegno della Rai per il progetto “Virtual Lis”, che permette la generazione di contenuti nella lingua dei segni mediante la computer grafica, è stato riconosciuto con la vittoria alla quarta edizione del Diversity Brand Summit. Oltre ai movimenti delle dita e delle mani, è stata posta grande attenzione anche alle espressioni
facciali, elemento fondamentale poiché conferiscono espressività alla comunicazione. Partendo dagli studi sulle soglie di wpm (words per minute) associate a livelli di comprensibilità diversi, è stata invece ideata Stretch Tv, una soluzione tecnologica che consente di rallentare i programmi televisivi per migliorarne la comprensione da parte di persone disabili e anziane. Un lavoro che così spiega il responsabile Campagne sociali Rai, Roberto Natale: “Il servizio pubblico esiste per fare coesione sociale […] e la Rai può davvero provare a incidere sulla mentalità corrente. Come è accaduto con le Paralimpiadi, alle cui ultime edizioni ha dedicato la stessa attenzione qualitativa e quantitativa che ha riservato alle Olimpiadi. Perfino i telecronisti
erano gli stessi. Sono occasioni in cui tocchi con mano quanto la tv generalista possa cambiare nel profondo il senso comune di un Paese. Per non dire della forza emotiva della fiction che, con le sue invenzioni narrative, può aiutare il pubblico a superare le proprie barriere culturali
“.

Marco Ferrazzoli, Francesca Gorini, Francesco Pieri, “Il Superdisabile. Analisi di uno stereotipo” (LuCe Edizioni 2019).

“Il Superdisabile. Analisi di uno stereotipo” sul sito di LuCe Edizioni

Se ti abbraccio, non avere paura

Per certi viaggi non si parte mai quando si parte. Si parte prima. A volte molto prima. Sono bastate poche parole: “Suo figlio probabilmente è autistico”


Il verdetto di un medico ha ribaltato il mondo. La malattia di Andrea è un uragano, sette tifoni. L’autismo l’ha fatto prigioniero e Franco è diventato un cavaliere che combatte per suo figlio. Un cavaliere che non si arrende e continua a sognare. Per anni hanno viaggiato inseguendo terapie: tradizionali, sperimentali, spirituali. Adesso partono per un viaggio diverso, senza bussola e senza meta. Insieme, padre e figlio, uniti nel tempo sospeso della strada. Tagliano l’America in moto, si perdono nelle foreste del Guatemala. Per tre mesi la normalità è abolita, e non si sa più chi è diverso. Per tre mesi è Andrea a insegnare a suo padre ad abbandonarsi alla vita. Andrea che accarezza coccodrilli, abbraccia cameriere e sciamani. E semina pezzetti di carta lungo il tragitto, tenero pollicino che prepara il ritorno mentre suo padre vorrebbe rimanere in viaggio per sempre. Se ti abbraccio non aver paura è la storia di un’avventura grandiosa, difficile, imprevedibile. Come Andrea. Una storia vera. Da questo romanzo Gabriele Salvatores ha tratto il suo ultimo film.

LA STORIA DI FRANCO E ANDREA
Un mattino senza scuola, Fulvio Ervas guarda scorrere il mondo dal tavolino di un bar. “Ehi, tu scrittore” lo apostrofa un tipo con occhi da Richard Gere “ho una storia per te. Sei uno scrittore, vero? Mi han detto che sei uno scrittore, e di quelli bravi”. “Sì” risponde Fulvio incerto “scrivo storie di fantasia”. “Allora ascoltami” dice l’uomo, che nel frattempo ha detto di chiamarsi Franco e ha ordinato uno spritz, “perché la storia che voglio raccontarti ha la forza della vita vera e la bellezza di un sogno”. Comincia così un dialogo durato un anno intero, sotto la pergola dell’uva fragola, sul divano di casa Ervas. Franco racconta di Andrea, della loro avventura attraverso le Americhe. Fulvio è incantato dalla sua energia, dal coraggio di quel padre che ama disperatamente suo figlio e vuole regalargli a ogni costo tutta la vita che può, tutta la bellezza che può: in barba a quell’autismo maledetto. Un giorno anche Andrea entra in giardino, con i suoi delicati saltelli sulle punte, con la sua smania di abbracciarti, di toccarti la pancia, di dirti ‘bella’, ‘bello’. E la sua mano percepisce in un istante come stai veramente. La mente di Fulvio parte, elabora immagini, corre con quell’Harley Davidson su strade a perdita d’occhio. Segue la danza di Andrea, che sembra sempre sul punto di spiccare il volo. Trasforma il racconto di Franco in un romanzo che affonda nel cuore e fa decollare le emozioni. “Io e Andrea attraverseremo tutte le Americhe possibili e immaginabili: due o tre, quelle che incontreremo. Ce ne andremo a zonzo, come esploratori.” Il nuovo romanzo di Fulvio Ervas affronta un tema di grande impatto: la vita con un figlio ‘diverso’. Lo fa con slancio e umorismo. “Credo che il viaggio che vorrei fare con Andrea sia una sfida nella sfida, siamo in movimento, non aspettiamo che la vita ci scarichi a una fermata.” Narrando l’avventura di Franco e Andrea tra deserti, foreste e città, Se ti abbraccio non aver paura parla di alchimie amorose, trappole nascoste dietro uno sguardo, sogni degni di una vita intera. Della forza dirompente dell’abbraccio di Andrea.

Fulvio Ervas


Fonte: Marcos y Marcos


Fulvio Ervas, “Se ti abbraccio non aver paura”, Marcos y Marcos Editore (2012)



ATTUALITÀ – Corriere della Sera:

Il piacere della lettura, tra lockdown e bella stagione

La lettura è uno dei grandi piaceri della vita, che il lockdown ci ha in qualche modo indotto a riscoprire. Ma anche la bella stagione ha sempre agevolato questa pratica, ahinoi così poco diffusa in Italia. Ecco perché le abbiamo voluto dedicare il Focus monografico del secondo Almanacco della Scienza di maggio 2020. Per realizzare questo Focus sulla lettura abbiamo chiesto ai direttori dei sette Dipartimenti del Consiglio nazionale delle di consigliarci un libro della loro macroarea


La lettura è un piacere, uno dei grandi piaceri della vita, che il lockdown ci ha in qualche modo indotto a riscoprire. Ma anche la bella stagione alle porte, a prescindere da pandemia e ripartenza, ha sempre agevolato questa pratica, ahinoi così poco diffusa in Italia. Ecco perché abbiamo voluto dedicare il Focus monografico del secondo Almanacco della Scienza di maggio a questo tema. Chiariamo subito che con “lettura” non intendiamo riferirci a una tipologia di supporto, che non vogliamo entrare nella rovente e un po’ stantia polemica tra cartaceo e digitale, libro tradizionale ed e-book, tra testi complessi, articoli e sms, whatsapp, chat, post social. Non perché non ci siano differenze: il medium e il messaggio si condizionano a vicenda, insegnava Marshall McLuhan, e la sua lezione è oggi ancora più valida. Ma l’unica possibile strada che abbiamo davanti è una composizione equilibrata tra le diverse forme di scrittura e lettura. Il tomo realizzato mediante stampa a caratteri mobili nato con Johann Gutenberg conserva intatto il suo primato culturale (lo dicono anche i dati della produzione e della fruizione), ma l’incessante avanzamento delle tecnologie della comunicazione è ineludibile, così come la relativa rivoluzione concettuale e cerebrale (riduzione del testo, mescolanza tra lettere e altri segni grafici, accelerazione dell’interazione tra messaggi).

Per realizzare questo Focus sulla lettura abbiamo adottato una chiave inconsueta. Il Consiglio nazionale delle ricerche è il maggiore Ente pubblico di ricerca per dimensioni umane, estensione territoriale ma soprattutto per la multidisciplinarietà che i sette Dipartimenti rappresentano, racchiudendo poi ciascuno di loro un mondo amplissimo di competenze. Abbiamo quindi chiesto ai direttori dei Dipartimenti di consigliarci un libro della loro macroarea, che fosse però adatto al grande pubblico dei non specialisti, scrivendone o facendone scrivere la recensione: il nostro suggerimento è semplicemente quello di seguire i loro suggerimenti, di fidarsi, inanellando una collana di letture che vi terrà compagnia per questo prossimo futuro di auspicato ritorno alla normalità.

Una sola condizione abbiamo posto ai direttori che cortesemente ci hanno risposto: nessun libro che parli di Covid-19, epidemie, pandemie, contagi… Non perché ne manchino ma, al contrario, perché la letteratura scientifica e narrativa sul tema è sterminata e qualche spunto da questa ricca miniera ci permettiamo di suggerirvelo noi. Date intanto un’occhiata alla prima “stanza” della mostra “Racconti e ritratti di medicina e malattia”. Vi ricorda nulla il: “Cantami, o Diva, del Pelìde Achille l’ira funesta, che infiniti addusse lutti agli Achei […] Irato al Sire, destò quel Dio nel campo un feral morbo”? L’incipit dell’“Iliade”, opera che in qualche modo possiamo assumere come punto di partenza della nostra narrativa, ha quale soggetto proprio le epidemie: interpretate come un segno dell’ira delle divinità, certo, ma nella stessa epoca in cui altri autori come Tucidide e Lucrezio forniscono descrizioni sintomatologiche ed epidemiologiche dei contagi che non esiteremmo a definire “proto-scientifiche”.

Da allora a oggi, la lista di autori e opere, spesso capolavori immortali rimasti nel nostro immaginario, va dal “Decamerone” di Giovanni Boccaccio ai “Promessi sposi” di Alessandro Manzoni, per citare i due classici più celebri, dalla “Peste” di Albert Camus a “La pelle” di Curzio Malaparte, per restare al solo ‘900. E poi, citando randomicamente: Giuseppe Belli raccontò in romanesco “Er collera moribbus”, “Allegro ma non troppo” di Carlo Maria Cipolla, “La peste di Londra” di Daniel Defoe, la canzone “La peste” di Giorgio Gaber, “Morte a Venezia” di Thomas Mann, “Cecità” di Josè Saramago, “Inferno” di Dan Brown, sempre di Manzoni la “Storia della colonna infame”, i già citati Tucidide con la “Guerra del Peloponneso” e Lucrezio per il “De rerum natura”, Edgard Allan Poe e “La maschera della morte rossa”, “Nemesi” di Philip Roth, Jack London e “La peste scarlatta”, Gesualdo Bufalino con “Diceria dell’untore”, Gabriel García Màrquez con “L’amore ai tempi del colera”.

Ci fermiamo qui per non togliere spazio ai sette libri consigliati nel Focus, dai quali vi consigliamo di cominciare. Oppure mescolate a vostro piacere. Se il Coronavirus, tra tanti immensi danni e vittime, ci avesse davvero riportato al piacere della lettura facciamo di tutto per non smarrirlo.

Marco Ferrazzoli


Fonte: Almanacco CNR – Editoriale

Almanacco CNR – Consigli di lettura