Uccidere per pietà: quando l’handicap è la solitudine

Un libro doloroso, un dramma che testimonia le difficoltà dei familiari di persone portatrici di handicap gravi e sottolinea ancora una volta la necessità di investire sulle strutture sanitarie e sulla rete assistenziale.

Molti ricorderanno un caso che, pur nell’ormai quasi routinaria concitazione della cronaca nera domestica, ha colpito fortemente gli italiani che ne ebbero notizia: nel 2003 un borghesissimo medico romano uccise il figlio autistico, dopo l’ennesima giornata di vessazioni alle quali il ragazzo sottoponeva costantemente i genitori, nella totale solitudine familiare. Poco tempo dopo, relativamente ai tempi non fulminei della magistratura italiana, il padre, condannato per omicidio, veniva graziato dal presidente della Repubblica.

In questo libro che rievoca la storia della famiglia, basandosi soprattutto sugli appunti e sulle riflessioni disperate e dolenti dell’uomo, si intersecano numerosi piani di lettura. Uno, il più convincente, riguarda appunto la solitudine in cui vengono lasciate le famiglie degli handicappati gravi. Solitudine va qui inteso in un significato molto concreto e complesso: la forma autistica di Sergio, nato negli anni ’60, viene diagnosticata con un ritardo dovuto alla scarsa informazione del sistema sanitario italiano su questa patologia. Purtroppo, tale ritardo viene colmato, essendo la sintomatologia del bambino assai precoce ed eclatante, da una serie di valutazioni e terapie errate e costose. Ma anche dopo avere individuato che, purtroppo, Sergio soffre della forma più grave e aggressiva di questo ritardo mentale, l’appoggio delle strutture sanitarie pubbliche e private alla famiglia è irrisorio, spesso irritante e offensivo.

Molto meno convincente è la valutazione che l’autore de “Il mondo di Sergio” fa prendendo le mosse non dall’episodio dell’assassinio ‘per pietà’ ma dalla grazia concessa al padre dal Quirinale. Mauro Paissan estende infatti il concetto della pietà ‘pubblica’ alle richieste, spesso mosse in questi ultimi anni, di consentire l’eutanasia o il ‘suicidio assistito’ degli handicappati e dei malati incurabili. In realtà, l’esperienza di papà Salvatore e di sua moglie attestano che la morte non è il rimedio necessario, laddove si sollevino i cari dei malati dall’onere totale della cura e in particolare dall’angosciante domanda del ‘dopo di noi’: l’atto estremo raccontato nel libro avviene non tanto per l’esasperazione delle percosse, dei soldi dilapidati, della distruzione materiale e morale della casa, ma soprattutto perché il genitore si vede giunto a un’età nella quale la sua possibilità di accudire il figlio va esaurendosi, senza che le strutture prospettino all’ormai quarantenne Sergio una assistenza civile e dignitosa.

Marco Ferrazzoli

Mauro Paissan, “Il mondo di Sergio” (Fazi, 2008)

Esordio letterario di un giovane fisico

Un imperdibile romanzo d’esordio, ormai un caso letterario, trasposto nel 2010 in un toccante film.

Paolo Giordano è un giovane fisico, dottorando all’Università di Torino, e più di qualcosa della sua biografia dev’essere impresso nella figura del protagonista del suo romanzo d’esordio: il Mattia di “La solitudine dei numeri primi”, un geniale fisico che lavora come docente e ricercatore presso un’ateneo nordeuropeo. Ma, soprattutto, la formazione scientifica dell’autore si riflette nella precisa ingegneria del libro: la scansione temporale dei capitoli che accompagnano Mattia e la coprotagonista Alice, l’alternanza tra forma diretta e indiretta del racconto, il passaggio dal Bildungsroman (romanzo di formazione) alla storia d’amore, l’inserimento dei personaggi minori. La descrizione della crudeltà che bambini e adolescenti sono capaci di esprimere con i coetanei, ad esempio, è raccontata con efficacissima discrezione.

Ma la miglior riuscita, Giordano la raggiunge nella descrizione dello sgomento con cui gli adulti affrontano le difficoltà di crescita dei ragazzi e in particolare il confronto con l’handicap, tema centrale che il titolo esprime con un’efficace metafora matematica. Mattia, dopo aver provocato la scomparsa della gemella Michela (ritardata mentale), palesa pesanti sintomi autolesionistici e una sindrome autistica descritta in modo un po’ forzato, secondo lo schematismo invalso nella fiction dopo il successo di “Rain Man”. Molto più convincente la descrizione di Alice, anoressica e claudicante dopo un incidente di sci avvenuto da bambina.

La storia si perde solo nella ricerca un po’ sovresposta (per usare un’immagine della professione di Alice, fotografa) della ‘quadra’ finale. Ma, nel complesso, Giordano si candida come l’autorevole erede della narrativa formalmente fredda ma molto intensa nei contenuti che fu del miglior Andrea de Carlo, specialmente dopo gli ultimi e deludenti esiti dello scrittore milanese.

Marco Ferrazzoli

Paolo Giordano, “La solitudine dei numeri primi” (Mondadori, 2010)

https://www.mondadoristore.it/La-solitudine-dei-numeri-primi-Paolo-Giordano/eai978880458965/