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Il paese dei ciechi

Lo scrittore inglese George Wells Herbert mostra come la vita da ciechi sia possibile grazie alla compensazione degli altri sensi.

Le loro bestie vi si trovarono bene, e si moltiplicarono. Una sola cosa offuscava la loro contentezza; ma bastava ad offuscarla gravemente. Un male strano li aveva assaliti, colpendo di cecità tutti i figli che avevano avuto lassù, ed anzi colpendo anche alcuni dei maggiori.

Egli aveva ridisceso le gole, a prezzo di fatica, difficoltà e pericoli, appunto per cercare un antidoto o un talismano contro quella cecità. A quei tempi, in casi del genere, gli uomini non pensavano a bacilli e infezioni, bensì a peccati, e a lui era sembrato che il motivo di quella piaga dovesse risiedere nella negligenza di quegli immigrati senza prete, che non avevano costruito una cappelletta appena penetrati nella valle.

[…] E tra la sparuta popolazione di quella valle ormai isolata e dimenticata, la malattia seguì il suo corso. I vecchi, diventati mezzi ciechi, andarono a tastoni, i giovani ci videro appena, e i figli che misero al mondo non ci videro affatto. Ma la vita era molto facile in quella conca orlata di nevi, ignota al mondo intero, priva di spine e rovi, senza insetti nocivi n‚ animali all’infuori dei miti lama delle mandrie ch’essi avevano tirato, spinto, seguito su per il letto angusto dei corsi d’acqua, in fondo alle gole attraverso le quali erano saliti. A quelli che ci vedevano, la vista si era abbassata per gradi, tanto che quasi non si accorsero della perdita. Avevano guidato i ragazzi privi della vista, qua, là, ovunque, tanto che questi conobbero tutta la valle a meraviglia; e quando l’ultimo residuo di vista si spense, tra loro, la razza sopravvisse. Avevano persino fatto in tempo ad adattarsi per adoperare il fuoco alla cieca, accendendolo cautamente in forni di pietra. All’inizio erano una stirpe di gente semplice, analfabeta, appena sfiorata dalla civiltà spagnola, ma nella quale sussisteva ancora un poco la tradizione artistica e la filosofia perduta dell’antico Perù. Una generazione seguì l’altra. Essi dimenticarono parecchie cose, altre ne escogitarono. La tradizione dell’esistenza d’un più vasto mondo, dal quale erano venuti, si fece vaga, prese il colore del mito. Tranne che nella vista, erano, in tutto il resto, forti ed abili, e non tardò che, al caso delle nascite e dell’ereditarietà, comparve tra loro un individuo d’intelletto originale, dotato di parola persuasiva, poi un altro ancora.

[…]”Tra i ciechi l’orbo d’un occhio è re, tra i ciechi l’orbo d’un occhio è re”

[…]Erano ciechi da quattordici generazioni, completamente segregati dal mondo dotato di vista, e il nome di ogni cosa attinente al senso ottico si era cancellato o trasformato, la storia del mondo esterno si era cancellata, trasformata in una fiaba, ed essi avevano perso ogni interesse per tutto ciò che stava al di là dei pendii rocciosi, incombenti sul loro muro di cinta. Erano sorti, tra loro, ciechi geniali, che avevano messo in discussione gli ultimi brandelli delle credenze e delle tradizioni di un tempo in cui possedevano ancora la vista, negandole come vane bubbole e sostituendole con altre e più assennate spiegazioni. Buona parte della loro immaginazione si era disseccata come i loro occhi, ed essi si erano procurati altre immaginazioni in base alla sensibilità sempre maggiore delle orecchie e dei polpastrelli

[…]Un poco seccato, Núñez gli tenne dietro. “Verrà il mio momento”, disse. “Imparerai”, disse il cieco. “C’è tanto da imparare al mondo”. “Nessuno ti ha mai detto che tra i ciechi l’orbo è re?. “Ciechi? cosa vuol dire?”, domandò con indifferenza il cieco senza girare la testa

[…] loro sensi avevano acquistato un’acutezza meravigliosa: erano in grado di udire e valutare il minimo gesto di un uomo da dodici passi di distanza; di sentirne persino il battito del cuore. Da un pezzo, per loro, le intonazioni della voce avevano sostituito le espressioni del viso, il tatto aveva sostituito i gesti; e lavoravano di zappa, vanga o forcone con la stessa facilità e sicurezza che se si fosse trattato di giardinaggio. Possedevano un senso dell’odorato finissimo, straordinario, tale da poter distinguere Prontamente le diversità individuali, come fanno i cani. E badavano al bestiame (i lama, che vivevano tra le rocce in alto e venivano a cercar cibo e ricovero presso il muro) con disinvoltura e tranquillità.

George Wells Herbert 

Treccani Enciclopedia Online

George Wells Herbert, “Il paese dei ciechi” 

Carmen Troiano

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