Pronto soccorso? Non serve il Dr. House


Nel suo richiamo alla medicina di Ippocrate, il dottor Carlucci vede l’alleanza e l’ascolto tra operatore sanitario e paziente al centro del percorso terapeutico, a partire dai reparti di emergenza.

 

Per la sanità, l’immaginario cine-televisivo è diventato il punto di riferimento per le valutazioni del sistema reale. La regola vale sia nel bene, cioè nel valorizzare la straordinaria funzione che il sistema sanitario svolge in un paese che voglia dirsi civile, sia nel male, cioè nel comparare alla retorica della fiction le assai meno esaltanti performance dei medici in camice, carne ed ossa.

“Lottare insieme per la vita” di Michele Carlucci, primario dell’Unità Operativa di Pronto Soccorso del San Raffaele di Milano, intende contrastare questa seconda tendenza. Il Pronto Soccorso e la ‘buonasanità’ di cui l’autore parla non sono quelli di “E.R.”, “Grey’s Anatomy”, né tantomeno quelli del dottor House, che Carlucci contesta con particolare veemenza, convinto che il personaggio interpretato da Hugh Laurie rappresenti ‘l’incarnazione quasi perfetta di quello che, ai miei occhi, un medico non dovrebbe essere’.

‘Decidere, comprendere, comunicare’ sono invece le tre regole d’oro alle quali, secondo il primario dell’Istituto Scientifico Universitario milanese, si deve conformare la ‘buona sanità’ di un reparto di emergenza. Quando un paziente arriva all’ospedale non può esservi spazio per incertezze, né per quella freddezza che trasforma i pazienti in numeri o li riduce alla malattia di cui soffrono, né per il silenzio mascherato di sacralità professionale, il mero affidamento alla pur indispensabile tecnologia.

Nella medicina ippocratica di Carlucci, operatore sanitario e paziente sono due instancabili alleati contro la malattia. L’unica domanda che ci sorge spontanea è se e quanto questa medicina ideale, nei reparti di emergenza delle nostre strutture reali, sia più vera di quella dell’insopportabile quanto infallibile dr. House.

 

Marco Ferrazzoli

 

Michele Carlucci, “Lottare insieme per la vita. Il Pronto Soccorso e la buonasanità” (Editrice San Raffaele, 2008)

Epistemologia e clinica di un medico televisivo


Quattro giovani filosofi esplorano l’etica, le ragioni e la logica del Dr. House: il celebre, cinico e appassionato medico della omonima serie.

 

Seguendo il filone di saggi come la collettanea “I Simpson e la filosofia”, Blitris (pseudonimo che significa più o meno “onomatopea” e identifica un collettivo composto da quattro giovanissimi appassionati) dedica un saggio a “La filosofia del Dr. House”. L’approccio è quello stabilito da Ludwig Wittgenstein in un famoso aforisma, posto come distico nel prologo del volume: ‘Se la filosofia ha qualcosa a che vedere con la saggezza, senza dubbio in “Mind” non ce n’è nemmeno un granello, mentre spesso se ne trova un granello nei racconti polizieschi’.

Nel caso di Gregory House, l’applicazione di questo principio significa sondare dal punto di vista deontologico, epistemologico e clinico il comportamento di quest’anomalo, claudicante e celeberrimo medico televisivo, il cui serial raccoglie in mezzo mondo un enorme numero di appassionatissimi spettatori. Intuizione e scortesia, passione e incoerenza rendono quest’eroe della fiction difficilmente catalogabile, e forse è proprio questo che ha determinato il successo del personaggio.

Certo, una consistente parte nel boom di questa serie l’hanno giocata anche l’interpretazione “minimale” di Hugh Laurie e l’aforistica scrittura dei sceneggiatori, inconfondibile per il cinismo di battute come ‘sono diventato medico per curare le malattie, non i malati’ e ‘preferiresti un medico che ti tiene la mano mentre muori o che ti ignora mentre guarisci?’.

 

Marco Ferrazzoli

 

Blitris, “La filosofia del Dr. House” (Ponte alle Grazie, 2010)