Su quel ramo del lago di Como c’è uno scrittore. Anzi, un medico

Andrea Vitali è la figura più emblematica della letteratura contemporanea italiana di narratore e medico. Considerato l’erede di Piero Chiara è un prolifico autore di romanzi e racconti ambientati nella provincia dove è nato e risiede e dove, fino a poco tempo fa, ha svolto l’attività clinica. Protagonisti delle sue opere sono per l’appunto personaggi provinciali, semplici, tra i quali naturalmente anche medici e il maresciallo Maccadò


Confesso che sin da giovane ho avvertito la necessità di scrivere, di usare la scrittura come mezzo di comunicazione con gli altri. All’inizio quindi era la scrittura, non concepita come esercizio solitario – nessun diario nella mia infanzia e nemmeno nella gioventù – ma come esperienza da condividere. Insomma, ci voleva qualcuno che leggesse quel che scrivevo. Fu proprio grazie a mio padre che, alla fine, compresi come potevo indirizzarla.
Mio padre, va detto, era un uomo di poche parole: casa, lavoro, telegiornale e poi a letto, dove spesso tirava tardi leggendo. Era la sua regola e, con il passare del tempo, è divenuta anche la mia. Alla quale, ogni tanto, lui si concedeva un’eccezione. In quel caso chiacchierava un po’ di più, raccontava storie, avventure che gli erano capitate quand’era giovane o che aveva sentito raccontare da altri. Accadeva di rado, a occhio e croce a ogni cambio di stagione. Fu proprio durante un passaggio di stagione, dalla primavera all’estate, che ascoltandolo ebbi l’idea di scrivere un romanzo, il primo, Il procuratore.
Fu così che il mio genitore si lasciò andare sull’onda dei ricordi e poiché la sua generazione ebbe la vita tristemente offesa dalla guerra, raccontò aneddoti guerreschi. Ricordo l’avventura di un salame, partito insieme con lui da Bellano per raggiungere l’isola di Rodi e finito poi, misteriosamente, nella pancia di un gatto; e quella di un lungo pomeriggio trascorso seduto sull’ala di un aereo da ricognizione planato, per avaria, in mare aperto. Non ci sono, come si vede, morti o feriti: non credo che mio padre abbia mai tirato un colpo d’arma da fuoco contro qualcuno, fece la guerra perché vi fu obbligato, come tanti altri, e come tanti altri ritornò con un carico di racconti che ogni tanto serviva ai figli.
Ecco Il procuratore è stato il mio punto di partenza; il 1988 l’anno in cui ho cominciato a rubare storie per restituirle scritte su carta. Ma anche l’anno in cui ho cominciato a ripensare all’infinità di storie che avevo già sentito e che aspettavano solo di essere raccontate.
Da allora non ho più smesso di ripensare a quelle che già so né di andare alla ricerca di quelle che ancora non conosco. E, a dire la verità, non ho proprio nessuna intenzione di farlo.

Andrea Vitali



BIOGRAFIA
Andrea Vitali è nato a Bellano, sul lago di Como, nel 1956. Medico di professione, ha coltivato da sempre la passione per la scrittura esordendo nel 1989 con il romanzo Il procuratore, che si è aggiudicato l’anno seguente il premio Montblanc per il romanzo giovane. Nel 1996 ha vinto il premio letterario Piero Chiara con L’ombra di Marinetti. Approdato alla Garzanti nel 2003 con Una finestra vistalago ( premio Grinzane Cavour 2004, sezione narrativa, e premio Bruno Gioffrè 2004), ha continuato a riscuotere ampio consenso di pubblico e di critica con i romanzi che si sono succeduti, costantemente presenti nelle classifiche dei libri più venduti, ottenendo, tra gli altri, il premio Bancarella nel 2006 (La figlia del podestà), il premio Ernest Hemingway nel 2008 (La modista), il premio Procida Isola di Arturo Elsa Morante, il premio Campiello sezione giuria dei letterati nel 2009, quando è stato anche finalista del premio Strega (Almeno il cappello), il premio internazionale di letteratura Alda Merini, premio dei lettori, nel 2011 (Olive comprese). Nel 2008 gli è stato conferito il premio letterario Boccaccio per l’opera omnia e nel 2015 il premio premio De Sica.
Con Massimo Picozzi ha scritto anche La ruga del cretino . I suoi romanzi più recenti sono
Sotto un cielo sempre più azzurro e Un uomo in mutande.

Garzanti Editore


Almanacco CNR – Recensione del libro “Nome d’arte Doris Brilli” di Andrea Vitali

La7 Attualità – Intervista a Andrea Vitali, scrittore e medico tornato in campo per la campagna vaccinale

L’incomprensibile suicidio di Edouard Levé

La vicenda editoriale legata a questo libro è tanto nota quanto drammatica: poco dopo aver consegnato il racconto per la pubblicazione, l’autore si è tolto la vita. Un atto imprevedibile, che si è trasformato in una terribile azione promozionale, rendendo il libro una sorta di diario ‘in tempo reale’ di una persona avviata verso il suo gesto estremo.

‘“Suicidio” rende tanti altri libri vani e inutili’, scrive L’Express in una delle recensioni che hanno segnato il clamoroso successo del libro di Edouard Levé, indissolubilmente legato all’esito imprevedibile e drammatico della vicenda editoriale: poco dopo aver consegnato il racconto per la pubblicazione, l’autore si è tolto la vita. Un atto imprevedibile, che si è trasformato in una terribile azione promozionale, rendendo il libro una sorta di diario ‘in tempo reale’ di una persona avviata verso il suo gesto estremo.

Lo spunto per il libro era giunto a Levé dal suicidio compiuto da un conoscente molti 25 anni prima: l’uomo era rientrato in casa con una scusa, mentre si stava recando ad una partita di tennis con la moglie che, udito lo sparo, era rientrata trovandolo senza vita. Lo scrittore cerca di immedesimarsi con l’amico, tenta di fornire una spiegazione a quella scelta, ma l’impressione che si ricava dalla lettura che in simili frangenti non si possa dire nulla di significativo. Il suicida resta incomprensibile all’autore, come Levé lo è, doppiamente, per noi.

Da un lato Levé, con la retorica di alcune espressioni, sembra ammantare il suicida della scontata mitologia che accompagna queste persone: ‘Nell’arte togliere equivale a migliorare. Scomparendo ti sei perpetuato in una bellezza negativa’; ‘Il tuo suicidio è stato un’azione a effetto inverso: una vitalità che produce morte’. Dall’altro lato, pare condividere l’accusa di egocentrismo che spesso viene rivolta a chi si uccide: ‘Non potevi accettare di mentire a quella semplice domanda: come stai?’, ‘Ti stupiva che i tuoi stati d’animo potessero essere tanto mutevoli senza che nessuno se ne accorgesse’.

Ma probabilmente il suicida non è un ragazzino immaturo né un eroe romantico. E forse, più dei suicidi, è facile spiegare i suicidi ‘mancati’. Più di questo libro ci appare vicina, nella sua inconsolabile tristezza, l’ingenuità dell’adolescente che scrive a uno psicologo da settimanale: ‘L’unico motivo per cui non oso togliermi la vita non è la paura. È che non so come si sta dopo’.

Marco Ferrazzoli

Edouard Levé, “Suicidio” (Bompiani, 2007)

Quando la filosofia cura

Qual è la linea di demarcazione che separa il counseling filosofico dalla psicologia? Un interessante volume analizza il dibattito circa la valenza “formativa” della consulenza.

Appare curioso che un piccolo comune del litorale marchigiano, noto soprattutto come stazione di cambio, editi un volume sul counseling filosofico. E si potrebbe sospettare che, come molti altri centri della provincia italiana, Falconara Marittima abbia voluto approfittare della dilagante moda della divulgazione popolare della filosofia.

Il volume inaugura però un impegno editoriale ampio, coordinato dall’associazione L’Orecchio di Van Gogh, attiva anche in altri campi. La breve collettanea ha il merito di concentrarsi su un aspetto nodale della consulenza filosofica, quello che ancora oggi rende ‘sospetta’ tale pratica, pur in corso di veloce diffusione: il rischio che essa invada, senza averne le competenze scientifiche e quindi rischiando di produrre danni anziché vantaggi, il campo della psicologia.

In effetti, quanto il limite tra le due attività sia labile alcuni degli autori intervenuti lo confessano con molta onestà, criticando i paletti posti dagli stessi fondatori del counseling: la natura non ‘curativa’ e il porsi sempre al di qua delle situazioni patologiche.

Ma se si passa alla parte più interessante del libro, cioè l’appendice con le anamnesi di alcuni incontri, si scopre chiaramente che sia le situazioni di partenza dei pazienti (o consultanti) sia i metodi di approccio sono estremamente simili a quelli della terapia relazionale. Se differenza c’è, insomma, è rispetto alle analisi del profondo, alla freudiana in primis, che però anche nell’ambito delle psicoterapie sono ormai minoritarie, sia per le esigenze di risparmio (di tempo e denaro) manifestate dai pazienti, sia perché la impostazione ‘liberatoria’ della psicanalisi classica è ormai quasi sovvertita e sostituita da un’impostazione che privilegia la ricerca di senso, di un senso per affrontare lo smarrimento tipico della società contemporanea.

A suo modo, il contributo forse più indicativo è quello Maria Maistrini, che dichiara tranquillamente di fare uso nella propria attività di strumenti come i tarocchi. La domanda diventa dunque: se anche l’uso delle carte può avere effetti benefici, allora cosa distingue le terapie curative da quelle formative, e cosa impedisce di inserire nel calderone dalle rubriche epistolari di Natalia Aspesi e Massimo Gramellini che, ne siamo sicuri, con il loro buonsenso spesso risolvono i problemi dei loro mittenti? In tale quadro di ‘liberalizzazione’, arriverà il giorno in cui dopo aver ringraziato un amico per una chiacchierata che ci ha aiutato a stare meglio, ci vedremo presentare la parcella?

Marco Ferrazzoli

Moreno Monanari (a cura di), “La consulenza filosofica: terapia o formazione?” (Comune di Falconara Marittima, 2006)

Quanto costa curare un anziano?

Da un medico di base con oltre trent’anni di pratica, una riflessione sull’esperienza del distacco e sul tema dei costi economici delle cure in relazione all’età dei pazienti.

Iona Heath è un medico di base con oltre trent’anni di pratica in uno dei quartieri più poveri di Londra.

Da questo suo libro sui “Modi di morire”, pertanto, ci si attenderebbe soprattutto il senso di un’esperienza ‘vissuta’ (per quanto quest’espressione possa apparire involontariamente ironica) rispetto all’evento finale e assoluto che, ogni anno, tocca 56 milioni di persone direttamente e indirettamente circa 300 milioni, cioè il 5 per cento della popolazione umana.

‘I costi del trattamento sanitario cui l’avevano appena sottoposta erano stati uno spreco inutile e penoso’, scrive ad esempio il dottor Heath dopo la scomparsa di una paziente novantenne. Ora, che dal dibattito sul diritto di decidere della propria sorte e di rifiutare ogni accanimento terapeutico, si passi a questionare sui costi economici delle cure in relazione all’età dei pazienti, appare una deriva di tipo salutistico e anagrafico piuttosto rischiosa.

E’ vero che la convinzione ‘di avere diritto a una salute perfetta’ è pericolosa, che anima ‘pretese eccessive’, tra le quali si possono annoverare anche le diffuse esagerazioni in merito all’utilità della ‘medicina preventiva’. Ma da qui a stabilire che gli anziani possano essere abbandonati senza cure, ce ne passa.

Marco Ferrazzoli

Iona Heath, “Modi di morire” (Bollati Boringhieri, 2008)

La scheda sul sito dell’editore

Il laico Soldati va a Lourdes

Appena ventottenne, Mario Soldati intraprende un viaggio a Lourdes per un’inchiesta giornalistica: il risultato è un reportage disincantato e, a tratti, spietato.

Nel 1934 Mario Soldati intraprese un viaggio a Lourdes: non per devozione, ma per un’inchiesta giornalistica.

Uno scrittore laico e un luogo di fede e di miracoli, raccontati con rigidissimi parametri razionalistici che oggi farebbero inorridire gli ‘atei devoti’ o i ‘teo-con’. Soldati non nasconde i suoi pregiudizi, li rivendica, con un’onestà intellettuale che nella Torino del tempo costituisce un coraggioso atto di anticonformismo.

Gli preme di evidenziare il classismo che il pellegrinaggio non annulla certo. Alla partenza, in mezzo alla città che conta, sparge subito sarcasmo a piene mani: “Di colpo, irrimediabilmente, mi trovai in mezzo ai preti” e a “poveri speciali, sono poveri cattolici”. Mette in discussione la sussiegosa filantropia cittadina, erede di De Amicis (un laico socialista, per inciso) più che di Don Bosco, ma – come un investigatore del Cicap a un congresso di guaritori – osserva criticamente anche la fede popolare.

Il pellegrinaggio è sofferenza e sacrificio solo per pochi malati gravissimi e per tutti gli altri, infermi inclusi, è occasione di fare un viaggio, “di divertirsi senza far nulla di male, compiendo anzi un’opera santa, acquistando meriti del Paradiso” scrive, sottolineando una contaminazione tra devozione e svago che non si capisce dove sia contraddittoria.

A Lourdes, il ventottenne Soldati trova una città allegra e continua a scandalizzarsi: “Se Assisi porta l’impronta dello spirito, Lourdes porta quella dello spiritismo”. Ma davvero il mistero deve necessariamente incarnarsi sempre nella semplicità francescana? Mettendo a fuoco il misticismo con lo sguardo spietato e disincantato del reportage, l’autore non vede ciò che non può vedere. ‘Un viaggio a Lourdes’ è accompagnato, in questa nuova edizione, da tre documenti che lo completano e lo spiegano.

Di Soldati, nel centenario della nascita, si ricorda anche l’uscita del Meridiano Mondadori che raccoglie cinque romanzi, di due Oscar (‘Vino al vino’ e ‘Le due città’), di ‘Un sorso di Gattinara e altri racconti’ per Interlinea e, infine, di ‘Amori miei’, raccolta di contributi edita da La Stampa.

Un profluvio di testi, doveroso omaggio a un grande protagonista della cultura italiana del ‘900.

Marco Ferrazzoli

Mario Soldati, “Un viaggio a Lourdes” (a cura di Salvatore Silvano Nigro, Sellerio editore Palermo, 2006)

La scheda sul sito dell’editore

La vita: conoscere per giudicare

Dal genetista internazionale Edoardo Boncinelli, un vademecum completo e di grande chiarezza espositiva sui meccanismi dello sviluppo embrionale, fondamentale per affrontare con consapevolezza un tema delicato al centro del pubblico dibattito.

Edoardo Boncinelli, a lungo docente dell’Università Vita-Salute del San Raffaele di Milano, ha condotto una lunga e prestigiosa carriera di genetista, che l’ha portato anche a lavorare a lungo al Cnr: prima borsista presso l’Istituto internazionale di genetica e biofisica di Napoli, poi direttore di ricerca del Centro per lo studio della farmacologia cellulare e molecolare.

Il grande pubblico, però, probabilmente lo conosce soprattutto per altre due attività importanti, quella di editorialista del Corriere della Sera e quella di autore di libri divulgativi.

In quest’ultima veste, Boncinelli ha dato alle stampe un saggio agile su “L’etica della vita”, un tema che insieme ad alcuni altri occupa il dibattito tra non specialisti e, dunque, rende quanto mai opportuno un minimo grado di diffusa e corretta informazione.

Il libro risponde a tale richiesta con un excursus molto completo ma di grande semplicità espositiva, grazie anche al glossarietto posto in appendice, che associa con grande equilibrio la descrizione asettica dei meccanismi genetici fondamentali e qualche incursione di carattere filosofico, inevitabilmente più soggettiva.

Ad esempio, ritornando alla propria primissima infanzia, l’autore fa coincidere identità e coscienza della persona: ‘Dal momento dei primi ricordi continuativi, io sono io’.

Siamo del resto in un terreno insidioso, dove anche l’affermazione apparentemente più innocua rischia di aprire dilemmi dilanianti, ma Boncinelli per la gran parte del testo offre soprattutto un prezioso servizio, fornendo sinteticamente gli elementi utili all’effettiva comprensione di termini ed espressioni di uso ormai corrente, quali ‘staminali embrionali’ o ‘diagnosi genetica pre-impianto’.

Il manualetto da un lato chiarisce meccanismi fondamentali dello sviluppo embrionale, senza contezza dei quali si rischiano nel giudizio deflagranti confusioni (pensiamo solo ai blastomeri e alla blastocisti); dall’altro lato, ci consente di ripescare qualche termine più piano ma sepolto tra le reminiscenze scolastiche, come gamete e zigote.

Un buon vademecum, insomma, se ci si vuol avvicinare al comunque non banale percorso della vita cellulare.

Il quesito finale, o fondamentale, di tutta la questione viene affrontato dall’autore nelle ultimissime pagine, dove si spiega che la diagnosi pre-impianto ‘sembrerebbe quindi il metodo ideale’ per impedire ‘la nascita di bambini gravemente malati’ evitando ‘il trauma dell’aborto terapeutico’, ma è disapprovata da chi considera il mancato impianto ‘come distruzione di vite umane’.

Analogo dilemma ‘squisitamente etico’ si pone su tutta una gamma di opportunità che la scienza sembra dischiudere in ordine alla durata, alla qualità e dunque alla ‘verità’ della vita.

Boncinelli, nell’ambito di questo dibattito, si sforza di lavorare per la comprensione tra le diverse posizioni, spesso abissalmente distanti.

Marco Ferrazzoli

Edoardo Boncinelli, “L’etica della vita” (Rizzoli, 2008)

La scheda sul sito dell’editore

Medico, parla come curi

La querelle sul ‘medichese’ non è certo nuova. La richiesta di un linguaggio più chiaro e comprensibile da parte dei professionisti della salute è anzi diffusa da tempo. A sostenerla, tra gli altri, il gastroenterologo e divulgatore Giorgio Dobrilla che in questo “Dottore… mi posso fidare?” stila un vero “manuale di medicina comprensibile”. Il problema è complesso e riguarda la necessità di stabilire tra chi fornisce e chi riceve la cura una comunicazione corretta ed efficace, che superi il linguaggio specialistico per stabilire un circolo virtuoso. Il libro è indirizzato al grande pubblico, a medici e studenti. Ma attenzione: non si tratta semplicemente di ‘parlare chiaro’, come se i dottori ‘se la tirassero’, cercando di darsi un tono tramite l’uso di termini esoterici (difetto che forse hanno, condividendolo con molte altre categorie). Come sostiene nella prefazione al volume Silvio Garattini, la medicina deve soprattutto “uscire dall’equivoco delle facili impressioni, per imboccare la difficile strada delle evidenze”, così come nel campo farmacologico “troppe ambiguità e troppi interessi tendono infatti a deformare la percezione dell’efficacia e della tossicità di un farmaco. Innanzitutto, la legislazione tende a privilegiare la visione dei farmaci come beni di consumo, anziché come strumento di salute”.

 

Marco Ferrazzoli

 

Giorgio Dobrilla, “Dottore…mi posso fidare?” (Avverbi, 2007)