Buona medicina, buoni medici, buona Sanità
Il saggio di Domenico Ribatti affronta il tema dell’etica in medicina in un’accezione molto ampia, che include il rapporto tra sanitari e paziente, i ruoli della politica e dell’industria farmaceutica, l’evoluzione scientifico-tecnologica, il significato stesso del termine “malattia”
Il tema dell’etica in medicina vanta una tradizione di studi e riflessioni ampia e autorevole, che va da Hans Jonas a Hugo Tristram Engelhardt, Martin Heidegger, Umberto Galimberti, Giorgio Cosmacini… Il saggio di Domenico Ribatti “La buona medicina”, però, affronta la problematica in un’accezione molto ampia, che include il rapporto medico-paziente, le politiche sanitarie, il ruolo dell’industria farmaceutica, l’evoluzione scientifica e tecnologica, il significato stesso del termine “malattia” che – nota l’autore – ne assume almeno tre diversi: concetto patologico, condizione esistenziale vissuta e condizione percepita dagli altri, tanto che in inglese esistono tre termini specifici: disease, illness e sickness.
Per lungo tempo la medicina ha posto l’accento più sulla patogenesi, cioè sugli aspetti meccanicistici che caratterizzano l’insorgenza della malattia, che su quelli eziologici che investono i rapporti tra l’individuo e l’ambiente. L’evoluzione successiva, dai postulati di Koch nello studio della tubercolosi all’introduzione tra Ottocento e Novecento di numerosi strumenti medici, farmaci e vaccini, dall’epidemiologia clinica alla Evidence Based Medicine (Ebm) basata sulle prove sperimentali effettuate su grandi numeri, ha ovviamente spostato l’interesse molto sul secondo aspetto e sulle sue intersezioni con il “programma genetico” e con l’evoluzione, un combinato disposto che rende ogni individuo un “prodotto” unico.
“Non più del 2 per cento delle malattie umane” devono “la loro insorgenza a un chiaro meccanismo monogenetico”, mentre il 98 “si conforma a un modello complesso”. Si è così passati da un’idea deterministica della causalità a un’idea probabilistica. Il saggio ricorda il caso dell’attrice Angeline Jolie, che si sottopose a una doppia mastectomia preventiva dopo avere saputo di essere portatrice di una mutazione del gene Brca1 che le dava l’87 per cento di probabilità di sviluppare un tumore della mammella. Il problema della “cultura della scienza” diviene quindi nodale quanto quello della salute. L’Oms alla sua fondazione nel 1948 l’aveva definita “uno stato di completo benessere fisico mentale e sociale” e non soltanto “un’assenza di malattia o di infermità”, ma lo storico della medicina Mirko Grmek notava come questa definizione rischiasse di attribuire alla medicina una sorta di impossibile scopo “di assicurare l’agiatezza e la felicità”.
Se secondo Umberto Veronesi “la medicina è insieme scienza arte e magia”, tanta è l’importanza della capacità del medico (e non solo) “di influenzare psicologicamente il paziente”, secondo molte fonti – tra le quali il saggio cita un editoriale degli “Annals of Internal Medicine” – una significativa quota dei test di diagnostica per immagini non sono necessari. In Italia l’incremento delle radiazioni assorbite in tal modo è stato del 600 per cento negli ultimi venticinque anni. “Colpa” di una medicina troppo cautelativa, di medici che sono ormai ridotti a prescrittori di farmaci, analisi ed esami? Certamente un recupero del contatto professionale e umano è auspicabile, già nel 1984 Howard B. Beckman e Richard N. Frankel rilevarono “che solo nel 23 per cento dei casi al paziente era consentito di completare la presentazione dei suoi sintomi e che nel 63 per cento dei casi il medico interrompeva il paziente mediamente diciotto secondi dopo che questi aveva iniziato a parlare”. Un processo che in qualche misura si accentua dopo il Settecento, quando gli ospedali diventano il luogo in cui l’ammalato viene curato ma anche separato dalla comunità, tema sul quale ha molto scritto Michel Foucault. D’altronde gli eccessi diagnostico-terapeutici sono l’altra faccia di una medaglia che si chiama prevenzione, sulla quale è necessario insistere soprattutto nella lotta contro malattie particolarmente dure da sconfiggere come il cancro, nel quale la percentuale dei casi maligni che può essere attribuita a fattori ambientali varia tra il 70 e il 90 per cento.
La parte del saggio dedicata alla cronaca politico-istituzionale recente è utile soprattutto per capire quante acquisizioni della Sanità odierna siano nate solo dalla seconda metà del secolo scorso. Nel 1954 la Federazione nazionale degli Ordini dei medici introduce il principio del consenso informato, nel 1958 nasce il ministero della Salute e solo vent’anni dopo il Servizio sanitario nazionale, con la nascita delle Unità sanitarie locali (Usl) e un significativo incremento della spesa pubblica, mentre ci vuole l’intero decennio 1992-2001 per la definizione dei Livelli essenziali di assistenza (Lea), subordinati però alla disponibilità finanziaria. Ci avviciniamo così alla attuale gestione della Sanità, al frequente dissidio tra sanitari, amministrativi e politici nella stessa, e all’indebolimento progressivo del coordinamento nazionale a favore delle autonomie regionali, che anche in tempo di Covid-19 ha mostrato alcune lacune e contraddizioni. Questo non deve però farci dimenticare che la Sanità pubblica italiana resta un modello tutto sommato virtuoso, a paragone di altri, pensiamo agli Stati Uniti con il loro sistema assicurativo ancora sostanzialmente privatistico.
Marco Ferrazzoli
Domenico Ribatti, “La buona medicina” (La nave di Teseo, 2020)
By Denise De Santana
- 4, Set, 2022
- 0 Comments