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Malaria

Nella novella di Verga si assiste ad una vera e propria guerra tra poveri ignoranti a causa della malaria.

E’ vi par di toccarla colle mani […] stagnante nella pianura, a guisa dell’afa pesante di luglio. Vi nasce e vi muore il sole di brace, e la luna smorta, e la Puddara, che sembra navigare in un mare che svapori, e gli uccelli e le margherite bianche della primavera, e l’estate arsa, e vi passano in lunghe file nere le anitre nel nuvolo dell’autunno, e il fiume che luccica quasi fosse di metallo, fra le rive larghe e abbandonate, bianche, slabbrate, sparse di ciottoli; e in fondo il lago di Lentini, come uno stagno, colle sponde piatte, senza una barca, senza un albero sulla riva, liscio ed immobile. Sul greto pascolano svogliatamente i buoi, rari, infangati sino al petto, col pelo irsuto.

Però dov’è la malaria è terra benedetta da Dio. In giugno le spighe si coricano dal peso, e i solchi fumano quasi avessero sangue nelle vene appena c’entra il vomero in novembre. Allora bisogna pure che chi semina e chi raccoglie caschi come una spiga matura, perché il signore ha detto: « Il pane che si mangia bisogna sudarlo»

Quelli del baraccone stavano a cena cuocere quattro fave, a ridosso del muricciolo, seduti sulle calcagna, per covar la pentola cogli occhi, tutta la famiglia. A un tratto udirono gridare: —Dàlli! dàlli! –e videro la folla inferocita che correva per sbranarli. –Signori miei! siamo poveri diavoli, poveri commedianti che andiamo intorno per buscarci il pane! -Il vecchio annaspava colle mani, per fare intendere le sue ragioni; la donna copriva i fìgliuoletti colle ali, come una chioccia; la giovinetta colle braccia in aria. Arrivò una prima sassata, che fece colare il sangue. Poi un parapiglia, la gente in mucchio accapigliandosi, gli strilli delle vittime, che si udivano più forte. -No! no! non li’ ammazzate “…ancora! Vediamo prima se “sono innocenti! Vediamo prima se portano il colera! -C’erano pure delle anime buone in quella ressa. ‘Ma gli altri non volevano intender ragioni: Jeli di comare Barbara, che gli sanguinava il cuore dall’angoscia, Scaricalasino che aveva visto coi suoi occhi Zanghì stecchito sotto il lenzuolo, massaro Lio che si sentiva già i dolori di ventre addosso. In un attimo la baracca in tutta sottosopra: i burattini, gli scenari, i cenci, la poca paglia sudicia dei sacconi. Poi, dopo che non ebbero più ridire frugare, fecero un mucchio d’ogni cosa, e vi appiccarono il fuoco. -Bravo! E adesso come farete a scoprire se portavano il colera? —-gridarono alcuni. Ma il povero capocomico non sentiva e non badava più a nulla, né le grida di morte, né le falci, né le scuri; pallido e stravolto, col sangue giù per la faccia, i capelli irti, gli occhi fuori della testa, voleva buttarsi sul fuoco per spegnerlo colle sue mani, urlando che lo rovinavano, che gli” toglievano il suo pane, strappandosi i capelli dalla disperazione, in mezzo alla famigliuola tutta pesta e malconcia, scampata per miracolo alla strage. —-Meglio, meglio che ci avessero uccisi tutti! —-Neppure il colera li aveva voluti, da per tutto dove l’avevano incontrato, stanchi ed affamati.

Giovanni Verga

Treccani Enciclopedia Online

Novelle rusticane

Giovanni Verga, “Novelle Rusticane” (1885)

Carmen Troiano

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