Dino Buzzati, Romanzi e racconti

In questo racconto, Buzzati descrive questa sconosciuta malattia (peste canina) e i suoi strani sintomi. Le poche conoscenze circa questa nuova epidemia generavano preoccupazione generale che sfociò in un “decreto del governatore” che proibii gli assembramenti, unita a ipocondria e allarmismi veri…O presunti.

Paurosissimo delle malattie, io le sento venire da lontano. (…)

Di questa malattia si raccontava una quantità di cose strane. Secondo alcuni proveniva dal cuore impenetrabile dell’Africa, altri invece dicevano che fosse stata provocata da un sacrilegio in Terrasanta. La chiamavano canina non perché colpisse i cani ma perché nella fase dell’incubazione, che durava uno o due giorni, l’ammalato emanava un forte odore. (…) Spesso ricordava il cane. (…) Un effluvio specialissimo, indefinibile a parole; che era lo stesso marchio della peste. E pochissimi erano in grado di distinguerlo. (…) medici o infermieri, o suore che erano vissuti in Africa o in Oriente.  Altri sintomi denotavano l’esplodere della peste vera e propria. (…) Ma ce n’era uno tipico e fatale: l’uomo colpito dal contagio non era più capace di un discorso organizzato (…)

Perciò la si chiamava anche peste sillabica.  (…)

Esisteva, è vero, un vaccino capace di stroncare l’infezione: ma doveva essere iniettato al tempo giusto, nel corso dell’incubazione, né prima né dopo; guai se si tardava; guai anche se lo si propinava, per errore, a una persona sana; se in seguito costui si contagiava, il vaccino non sarebbe più servito a niente. L’allarme fu gettato all’improvviso. Un decreto del governatore, alludendo in modo vago a pericoli di epidemie, proibì gli assembramenti e gli spettacoli, chiuse i locali pubblici, impose il controllo dei viaggiatori eccetera. In poche ore tutta la popolazione seppe. E già si udivano le sirene delle autoambulanze chiamata qua e là a trasportare i moribondi. Fu il terrore. (…)

Per fortuna io ero amico del professore Ettore Tiriaca, il clinico famoso (…)

Scoppiata l’epidemia, divenni l’ombra stessa del Tiriaca. (…) Col mio terrore di essere infettato, sentivo un odore dopo l’altro, immaginandomi che venissero da me. Il Tiriaca mi rassicurava: “Ma io non sento niente” (…)

Una sera – ero invitato a pranzo – appena entrato a casa Tiriaca, sento odore di tartufo. Magnifico, dico a me stesso, perché di tartufi sono ghiotto. (…)

“Ma dimmi, professore… come mai quest’odore di tartufi” “Tartufi?… Io non sento odore di tartufi… (…)

“Non sarò mica io per caso a …?” Lui mi annusa col suo grande naso, sorridendo. “Tu sei su una brutta china, caro mio… Di questo passo finirai dritto al manicomio” “Professore non inquietarti, l’odore c’è, ti giuro… E io ti sono amico… Io te lo volevo dire…  ascolta… non potrebbe darsi che … non potrebbe darsi che a odorare di tartufo… insomma non potresti essere tu?”

Il Tiriaca mi fissa, il sorriso gli si è fermato sulle labbra, non capisce se io voglio scherzare. Gli viene forse un dubbio? No. Si mette anzi a ridere di gusto. “Non mi illudevo che tu mi stimassi un luminare” dice “ma almeno che io non fossi un asino del tutto… Se mi fossi impestato, per capirlo credi forse che avrei bisogno dell’odore?” (…)

Per la prima volta io non gli credo, le sue parole non danno più sollievo. E intanto l’odore va crescendo, la casa ne è ammorbata, io cerco di andarmene al più presto. (…)

Anche la notte passa. Alle otto e mezzo salgo dal Tiriaca per accompagnarlo in clinica. Entrato, annuso. L’odore di tartufo non c’è più. Meno male, mi dico, si vede che era tutta suggestione. In quel mentre arriva il professore. “Beh, come la va? Senti ancora la presenza di tartufi? Ti sei calmato?… Ieri sera dopo che te ne sei andato, non credere, io non ci ho pensato su… e ho capito da dove ghe ghe quell’odore, in parte credo che sia… in parte… mah… invece, eh già… sgabusè toil gragiueaaa…” la frase si perse in un groviglio incomprensibile. (…)

La sera stessa fuggii dalla città (…)

E già è passato un mese. A quest’ora, se io fossi rimasto contagiato, il male sarebbe pur venuto fuori. Invece io sto bene, non emetto odori, parlo speditamente vero che parlo con la massima scioltezza? Il brutto sarebbe infatti se all’improvviso cominciassi anch’io a barbugliare, confondendomi, allora si sippo po potrei dirmi spaccirmi…

Dino Buzzati. “Romanzi e racconti”. A cura di Giuliano Gramigna. I Meridiani Mondadori, 1975

Cristina Rapagnà

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